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Gaza, la tregua scade senza accordo tra Israele e Hamas sulla fase due: rischio guerra

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Il confronto tra Israele e Hamas resta teso, con Israele determinato a prolungare di altri 42 giorni la prima fase dell’accordo di tregua, mentre Hamas si oppone fermamente e si prepara a rilanciare con nuove proposte.

Tra dichiarazioni anonime, comunicazioni ufficiali e informazioni fatte trapelare dall’Egitto, il tavolo dei negoziati aperto giovedì al Cairo non sembra destinato a produrre decisioni immediate.

Un possibile punto di svolta potrebbe essere l’arrivo in Medio Oriente, la prossima settimana, del segretario di Stato Usa Steve Witkoff. La sua visita, inizialmente prevista per mercoledì scorso, è stata posticipata a causa del dossier Ucraina. Nel frattempo, in Israele si è vissuta una settimana di lutto: migliaia di persone hanno partecipato ai cortei funebri per la famiglia Bibas e per gli altri ostaggi restituiti senza vita da Hamas. A Gaza, dove da sei settimane il conflitto è sospeso, gli sfollati sperano nell’arrivo di roulotte e strutture che possano migliorare le loro condizioni di vita.

Sabato scadrà la prima fase dell’accordo avviato il 19 gennaio, che ha portato alla liberazione di 33 ostaggi israeliani – 25 vivi e 8 morti – oltre a 5 cittadini thailandesi. Se non ci saranno sviluppi nei negoziati, domani sarà il primo Shabbat dall’inizio dell’intesa in cui nessun rapito sarà liberato. Attualmente, 59 persone restano prigioniere a Gaza, tra soldati e civili, di cui 24 potrebbero essere ancora in vita. Due funzionari del governo israeliano hanno confermato l’intenzione del primo ministro di prolungare la prima fase dell’accordo, mantenendo lo schema attuale: tre ostaggi rilasciati a settimana in cambio della scarcerazione di detenuti palestinesi.

Fonti di Hamas, citate da Haaretz, hanno dichiarato che gli ostaggi rappresentano “un’importante carta vincente” e non saranno rilasciati tutti finché Israele non avrà assunto una posizione chiara sulla fine del conflitto. Tuttavia, sarebbero in discussione altre possibili soluzioni di compromesso, valutate con i mediatori internazionali. Tra queste, uno scambio di ostaggi malati e corpi dei deceduti in cambio di prigionieri palestinesi.

Venerdì mattina, fonti vicine al gruppo hanno spiegato al quotidiano Asharq al Awsat che, indipendentemente dall’evoluzione della tregua, Hamas chiederà a Israele di rilasciare “più detenuti” in cambio della liberazione degli ostaggi ancora trattenuti. Hamas, che ha classificato come ‘militari’ tutti i prigionieri ancora in cattività – nonostante tra loro vi siano 19 soldati e 5 civili – ritiene che “i criteri del rilascio debbano essere diversi da quelli stabiliti a gennaio, perché il prezzo dovrà essere proporzionale”. I leader del gruppo potrebbero chiedere la scarcerazione di 150 detenuti palestinesi condannati per terrorismo per ogni ostaggio rilasciato. Nel frattempo, Israele mantiene la presenza militare lungo l’asse Filadelfia, al confine tra Gaza e il Sinai egiziano.

Giovedì, in occasione dell’incontro alla Casa Bianca con il primo ministro britannico Keir Starmer, Donald Trump ha dichiarato che “su Gaza sono in corso colloqui positivi”. Un alto diplomatico occidentale, invece, ha riferito al Times of Israel che “Gerusalemme si sta preparando a tornare in guerra a Gaza”.

Nel frattempo, alcuni ostaggi liberati sono apparsi in televisione. Eli Sharabi, dimagrito di 30 chili dopo 491 giorni di prigionia, ha mandato un messaggio di speranza: “Ho avuto mia moglie Lian per 30 anni, ho avuto due figlie meravigliose. Sono sopravvissuto e sono tornato. Sono fortunato”, ha detto a Channel 12, nonostante il 7 ottobre Hamas abbia ucciso la moglie e le figlie adolescenti e rapito suo fratello, morto in prigionia.

Un segnale di coraggio è arrivato dal pacifista palestinese Samer Sinjilawi, che ha fatto visita alle famiglie Bibas e Lipshitz per porgere le condoglianze. “Quando Yarden, papà dei due bambini, e la figlia di Lipshitz, Sharon, mi hanno abbracciato non sono riuscito a fermare le lacrime”, ha scritto su X. “Sento che è nostro dovere, come palestinesi, condividere il dolore e la sofferenza di queste famiglie, dire forte e chiaro che condanniamo questi omicidi, e di chiedere scusa e perdono”.

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