“Percorso virtuoso in tempi rapidi”, revocata l’amministrazione giudiziaria nei confronti di Manufactures Dior
Il Tribunale di Milano ha revocato l’amministrazione giudiziaria nei confronti di Manufactures Dior, il ramo produzione dell’omonimo brand di alta moda. L’azienda era stata oggetto della misura nel giugno 2024 per non aver impedito, secondo la procura di Milano, il caporalato e lo sfruttamento lungo la propria filiera. L’indagine dei pm di Milano Paolo Storari e Luisa Baima Bollone, condotta con i carabinieri del Nucleo Ispettorato del Lavoro di Milano, aveva ha svelato come, tra l’altro, le borse del marchio uscissero da un opificio clandestino cinese di Opera, nel milanese, a un prezzo di “53 euro” e venissero rivendute al “dettaglio a 2.600 euro” grazie alle “condizioni di sfruttamento” degli operai con paghe “sotto soglia”, “orario di lavoro non conforme” e “ambienti di lavoro insalubri”, oltre a “gravi violazioni in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro”.
Dopo l’udienza di martedì i giudici della sezione misure di prevenzione (collegio Pendino-Cucciniello-Profeta) danno atto alla società di aver “avviato” in questi mesi assieme all’amministratore giudiziario, Giuseppe Farchione, “un notevole sforzo di programmazione, economico e culturale per posizionarsi nel settore moda come un’impresa ad un alto grado di connotazione etica e di responsabilità sociale”. Dior avrebbe operato in un “ambito di legalità e di tutela dei lavoratori” e compiuto un “percorso virtuoso” in “tempi molto rapidi”. Anche la Procura aveva chiesto di revocare la misura.
Pur non potendo “azzerare un rischio” di comportamenti illegali lungo la filiera, si legge nelle 15 pagine del provvedimento, i giudici prendono atto che l’azienda ha inserito “17 nuove figure professionali” che si occupano esclusivamente di “rendere più stringenti i presidi” sulla “catena di produzione” e della “risoluzione” dei contratti con i “fornitori” critici, come i quattro opifici scoperti dall’inchiesta dove venivano rimossi i “dispositivi di sicurezza” dei macchinari e ‘addestrati’ i lavoratori, spesso stranieri irregolari costretti a vivere in magazzini dormitorio, a mentire in caso di controlli delle autorità. Si tratta del terzo caso nell’alta moda che si chiude con la revoca dell’amministrazione giudiziaria dopo le vicende che hanno coinvolto Alviero Martini spa e Armani Operation.
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