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Ricercatore ambientale in Spagna: “Con la borsa di studio avevo già uno stipendio buono. Poi mi hanno assunto a tempo indeterminato”

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Mentre i cervelli (climatici) fuggono, in Italia la prevenzione ambientale è al palo. “È un Paese incapace di mantenere il capitale umano dopo averlo formato, ancor di più se in ambito scientifico” spiega Stefano Balbi, ricercatore del centro di ricerca Basque Centre for Climate Change in Spagna, dove si occupa di sviluppo sostenibile e gestione delle risorse naturali. “In questo momento investire sulla prevenzione dei rischi ambientali e lavorare sulle prospettive professionali dei ricercatori che possono occuparsene dovrebbero essere le priorità della politica. Ma da noi non è così”, afferma Balbi. I dati gli danno ragione, soprattutto se si confrontano le spese per i danni climatici e finanziamenti per evitarli: come spiegato in un report di Greenpeace di novembre, dal 2013 al 2020 i danni causati da eventi climatici estremi in Italia sono stati di 22,6 miliardi di euro. Tuttavia, gli investimenti in prevenzione si sono limitati a 4,5 miliardi di euro. Se aggiungiamo i 2,8 miliardi spesi per la riparazione dei danni, la cifra totale destinata a mitigare i rischi ambientali rappresenta il 32% delle perdite causate da frane e alluvioni.

Intanto gli scienziati vanno via. Due terzi degli italiani che hanno vinto gli European Research Council (ERC) per i ricercatori di eccellenza lavora in istituzioni straniere, portando fondi e capitale culturale agli istituti esteri. Così l’Italia, che non sa offrire loro le stesse possibilità economiche e professionali, rimane indietro. “Io sono arrivato in Spagna 13 anni fa grazie a una borsa della provincia di Bilbao, un’iniziativa politica mirata ad attrarre talenti. Mi offrirono subito un contratto di tre anni, una possibilità unica rispetto al rischio precarietà che correvo restando a casa”, racconta Balbi, che è originario di Venezia. “La borsa mi ha permesso di avere da subito un buon salario, molto più alto della media italiana, e il Centro mi ha poi assunto a tempo indeterminato”.

Eppure investire sulla ricerca (e quindi sulla prevenzione) può avere effetti concreti. “Nel luglio del 2022, quando è avvenuta la valanga della Marmolada, avevamo previsto il rischio da almeno dieci anni. La letteratura scientifica sapeva già tutto. Noi scienziati possiamo collaborare per prevenire i disastri, ma ci dev’essere una risposta politica”. Secondo il ricercatore, la scienza dovrebbe essere non soltanto una priorità, ma anche un metodo di governo: “La sfida di oggi è far sì che le decisioni politiche vengano prese anche su base scientifica. Potrebbe anche essere una liberazione: senza il peso ideologico, anche le divisioni sociali e la polarizzazione verrebbero meno. Non ci sarebbero amministrazioni che ignorano la natura”.

Come successo, invece, per le alluvioni a Valencia del novembre scorso. “La politica ha avuto all’incirca 6 ore per avvisare le persone e permettere loro di spostarsi in tempo. Come mai non è stato fatto? Perché al posto di interpretare scientificamente il bollettino e fare la cosa giusta, hanno messo davanti i propri interessi elettorali. Se ci fosse stato un ufficio tecnico dedicato a questo, tutto sarebbe andato diversamente. E forse non sarebbero morte centinaia di persone”. O come accade in Italia, colpita a sua volta dalle alluvioni in Emilia Romagna, dove però ancora manca una legge sul consumo di suolo e il piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici non fornisce risposte. “Serve un’azione politica più forte e coerente”, sottolinea Balbi.

Le emergenze saranno sempre più frequenti. Basti pensare ai recenti incendi a Los Angeles: “In passato mai ci si sarebbe aspettato il verificarsi di tali condizioni climatiche a gennaio: a parte i forti venti, una siccità prolungata ha reso la vegetazione molto infiammabile”. “Il disastro è dovuto alla componente di pericolo del rischio, influenzata dal cambio climatico. La California – spiega Balbi – è molto esposta a questi pericoli. Teniamo conto, però, che vale anche per gran parte dell’Italia del sud, specialmente le isole”. Uno studio della World Weather Attribution pubblicato a settembre – che ha coinvolto circa 15 ricercatori da Italia, Svezia, Stati Uniti, Regno Unito e Paesi Bassi – ha evidenziato che il cambiamento climatico causato dalle attività umane e dall’uso di combustibili fossili ha reso la crisi idrica in Sicilia e Sardegna più grave e il 50% più probabile.

Balbi fa parte anche di ARIES (Artifical Intelligence for Enviroment and Sustanaibility), un progetto di ricerca internazionale senza scopo di lucro, nato per integrare modelli computazionali scientifici nella valutazione della sostenibilità ambientale e nella formulazione delle politiche. “Vogliamo utilizzare l’intelligenza artificiale per aggregare le conoscenze scientifiche e rispondere a domande cruciali sulla sostenibilità. L’obiettivo è rendere la scienza globale riutilizzabile, in particolare per la gestione dei sistemi umani e ambientali”, spiega il ricercatore. “È una tecnologia che stiamo utilizzando già da diversi anni anche per le Nazioni Unite. È stata applicata al Natural Capital Accounting, un metodo che misura la ricchezza di un paese basandosi sul capitale naturale anziché sul Pil”. “Il Pil non considera la distruzione ambientale – spiega – Noi miriamo a colmare questo limite. L’obiettivo è incentivare una crescita che rispetti gli asset naturali, essenziali per lo sviluppo economico e sociale sostenibile”.

“Quando sono entrato nel mio centro di ricerca, nella Advisory Board c’era anche Teresa Ribera, diventata poi ministra nel primo Ministero in Europa completamente dedicato alla transizione ecologica, in Spagna”, racconta Balbi. Oggi Ribera è la nuova commissaria europea per la transizione green e la concorrenza. “La Spagna è uno dei pochi paesi degli ultimi dieci anni che non ha virato verso destra o verso il sovranismo. Questo ha delle implicazioni anche per il mio lavoro: mi trovo in un ambiente che, secondo me, è più ricettivo e sensibile ai temi di cui mi occupo. Se 15 anni fa nessuno avrebbe scommesso sulla Spagna come leader progressista europeo, oggi invece è una realtà, e io faccio parte di questo cambiamento”. Che i cervelli climatici si augurano coinvolga anche l’Italia.

L'articolo Ricercatore ambientale in Spagna: “Con la borsa di studio avevo già uno stipendio buono. Poi mi hanno assunto a tempo indeterminato” proviene da Il Fatto Quotidiano.