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Condannati, decaduti, inquisiti: ma davvero la sinistra pensa di poter dare lezioni su Delmastro?

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La reazione della sinistra alla condanna del sottosegretario Andrea Delmastro conferma che non è poi così vero che non c’è nulla che unisca le forze di opposizione: quando si tratta di dimostrare il loro doppiopesismo, una certa quota di ipocrisia e una spiccata capacità di distrazione sui fatti propri Avs, M5S e Pd sono sempre ben allineati. Ora stanno tutti lì a dire che Delmastro si deve dimettere, che la legge è uguale per tutti, che le istituzioni non sono proprietà privata, ecc. ecc. Per carità, non che ci si aspettasse niente di diverso: anche il giochino di usare i tribunali per cercare di dare forza a battaglie politicamente fallimentari è carta ampiamente conosciuta, dall’immigrazione al caso Almasri, passando per la denuncia di Angelo Bonelli sul caso Cospito da cui è scaturito il processo a Delmastro.

Bonelli all’attacco di Delmastro, ma dimentica Salis e Lucano

Ora Bonelli dice che «in Italia non esiste più lo Stato di diritto, ma il codice Meloni: le regole valgono solo per i cittadini comuni, mentre chi fa parte del governo gode di impunità». Va ricordato, però, che Bonelli è leader con Nicola Fratoianni di quell’Avs che conta nelle proprie file Ilaria Salis e Mimmo Lucano. Salis è stata candidata alle europee per evitarle il processo in Ungheria e attualmente ancora si giova dell’immunità parlamentare che le è garantita dal seggio a Strasburgo. Lucano, anche lui eletto in Europa, resta al suo posto dopo la condanna definitiva a un anno e sei mesi, con pena sospesa, per falso nell’ambito del processo sul “sistema Riace” legato all’accoglienza dei migranti. Poiché Lucano era accusato di reati ben più gravi, la condanna a “soli” 18 mesi arrivata un paio di settimane fa è stata salutata dai compagni di partito come fosse un’assoluzione, ma sempre condanna definitiva resta.

Conte rispolvera la «casta», ma dimentica la condanna definitiva di Appendino

Il M5S, invece, la condannata in via definitiva ce l’ha nel Parlamento italiano. Si tratta di Chiara Appendino, alla quale a gennaio di quest’anno è stata inflitta una condanna a un anno, 5 mesi e 23 giorni di reclusione per i reati di disastro colposo, omicidio colposo e lesioni plurime colpose in relazione ai cosiddetti fatti di piazza San Carlo ai tempi in cui era sindaco di Torino. Giuseppe Conte, dopo la condanna di Delmastro in primo grado, ha detto che «si sentono attaccati alla poltrona» e che, anche se il sottosegretario «è innocente fino a condanna passata in giudicato», si deve dimettere. «Ma che cosa abbiamo? La nuova sfera degli intoccabili, la nuova casta? La legge non più uguale per tutti? Per il fatto oggettivo noi abbiamo chiesto da subito le dimissioni, perché il fatto è oggettivo e lui non l’ha negato», ha detto Conte, mentre Appendino continua a occupare il suo scranno in Parlamento e anche il ruolo di vicepresidente nazionale del M5S.

Fatti “oggettivi” e attaccamento alla poltrona: citofonare Todde?

Quanto al rimanere attaccati alla poltrona a dispetto di “fatti oggettivi”, varrà forse la pena ricordare che Alessandra Todde è stata dichiarata decaduta dal ruolo di presidente della Regione per violazioni legate alla rendicontazione delle spese elettorali sostenute durante la campagna elettorale. «Ci sono delle irregolarità formali che possono determinare sanzioni pecuniarie, ma non certo la decadenza», commentò a caldo Benedetto Ballero, l’avvocato di Todde. Come dire, “il fatto oggettivo” c’è, poi bisogna capire come trattarlo. Sostanzialmente quello che ha detto non l’avvocato difensore ma la Procura a proposito di Delmastro, chiedendone l’assoluzione e sottolineando che andava valutato come qualsiasi altro cittadino. Ma evidentemente, per alcuni, ci sono fatti oggettivi che sono più oggettivi di altri.

Il Pd si salva a livello nazionale, ma a livello locale…

Quanto al Pd gli va dato atto di non avere attualmente alcun parlamentare condannato in carica. In compenso, di quando in quando, si ritrova con qualche sui esponente locale, diciamo anche qualche notabile, coinvolto in brutte inchieste e non sempre disposto a cedere facilmente il passo. Per restare sull’attualità, per esempio, è di questi giorni la notizia delle dimissioni del presidente della Provincia di Salerno e sindaco di Capaccio Paestum, Franco Alfieri, che però era stato arrestato cinque mesi fa nell’ambito di un’inchiesta su presunti appalti truccati. La Cassazione ha confermato i domiciliari una settimana fa.

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