Il Kazakistan prova a far rinascere il Lago d’Aral: la parte nord è aumentata del 42% in 15 anni. Ecco come è stato possibile
Contro qualsiasi previsione, il lago d’Aral ha cominciato una lenta rinascita, per lo meno in una sua piccola parte. Il resto dell’ex grande bacino lacustre dell’Asia centrale è considerato perso per sempre ed è ora un deserto salato dove nulla cresce e i venti infuriano, sollevando ovunque polveri tossiche. Dal 2008 “il volume d’acqua della parte nord del lago di Aral è aumentato del 42% e ha raggiunto 27 miliardi di metri cubi alla fine della prima fase del progetto per preservare l’area settentrionale”, ha annunciato lunedì 13 gennaio il ministero kazako delle Risorse idriche e dell’Irrigazione. Difficile non parlare di un raro successo ecologico in un’area che ha subito uno dei maggiori disastri ambientali di sempre dopo che, negli anni ‘60, i sovietici decisero di deviare i fiumi Amu Darya e Sir Darya – i principali immissari del lago d’Aral – per potenziare la produzione di cotone e riso.
Una rinascita insperata – Il Piccolo Lago di Aral, situato in Kazakistan, è quanto resta di quello che era un tempo il bacino del quarto lago al mondo, esteso per 68.000 chilometri quadrati. Ora è una distesa di sabbia sterile e salina, punteggiata dai rottami arrugginiti dei pescherecci. È dunque nel Piccolo lago, la sezione settentrionale del bacino lacustre, che si concentrano tutti gli sforzi di conservazione. Salviamo il salvabile, si devono essere dette le autorità locali nel 2008, quando ha preso il via l’Aral Sea Conservation Project che, finanziato dal Kazakistan e dalla Banca Mondiale, ha comportato la costruzione della diga Kokaral, per impedire che l’acqua si disperdesse nella sabbia e si contaminasse con il sale. E già in precedenza, nel 1993, era nato l’IFAS (International Fund for Saving the Aral Sea), con la partecipazione di Kazakistan, Tagikistan, Turkmenistan, Uzbekistan e Kirghizistan (come Paese osservatore), nell’ottica di coinvolgere tutti gli stati dell’area nella lotta alla desertificazione e nel recupero dell’ambiente naturale. Durante un incontro tenutosi a settembre il ministro kazako delle Risorse idriche e dell’Irrigazione, Nurzhan Nurzhigitov, ha annunciato che dall’inizio del 2024 erano stati immessi nel lago 1,9 miliardi di metri cubi di acqua – con una netta riduzione della salinità e il ritorno della vita acquatica. “Al culmine del periodo di irrigazione di quest’anno sono fluiti nel lago 80 metri cubi di acqua al secondo dal fiume Syr Darya, contro i soli 6 metri cubi al secondo dell’anno scorso”, ha dichiarato a settembre il ministro. Un risultato impossibile senza il sostegno degli altri Stati: secondo dati ministeriali, il 75% del flusso del fiume Syr Darya proveniva dal Kirghizistan, il 20% dall’Uzbekistan e il 5% dal Kazakistan. Si trattava di restituire al lago le acque deviate per oltre cinquant’anni, portando al disastro ecologico con la D maiuscola, di cui risentono fortemente le due nazioni in precedenza affacciate sul lago, in particolare l’Uzbekistan.
Il nuovo, inquinato deserto – L’inaridimento del lago ha privato gli abitanti di una risorsa idrica importante, ha causato la morte di molte specie animali e il tracollo economico di una fiorente industria ittica. Ha lasciato anche spazio a un grande deserto, il più giovane al mondo: si chiama Aralkum e si estende per circa 40.000 chilometri quadrati, parte in Kazakistan e parte nel confinante Uzbekistan. L’Aralkum ha cambiato (in peggio) il microclima della zona, rendendo più calde le estati e più freddi gli inverni. Costellato di strisce di sale, raccoglie i residui tossici agricoli che, con l’aiuto di venti forti e costanti, vengono distribuiti dappertutto, diffondendo malattie respiratorie. “Gli effetti di queste tempeste si sentono maggiormente nella Repubblica uzbeka di Karakalpakstan e nella regione di Khorezm. Qui, le tempeste hanno causato degradazione del suolo, produzione agricola stentata e alterazione degli habitat”, si legge in un documento di dicembre della Banca Mondiale, in cui si sottolinea anche che i costi annuali per il solo Karakalpakstan sono stimati a oltre 44 milioni di dollari. Troppi, soprattutto per una nazione povera. Ma con l’aiuto della Banca Mondiale e altri partner internazionali, il paese sta cercando di rinverdire il deserto. “La strategia di recupero si concentra sulla piantumazione, nell’ex fondale lacustre, di alberi e cespugli nativi resilienti e adattati. Queste piante sono vitali per prevenire l’ulteriore degradazione fissando il suolo e riducendo l’erosione dei venti, e diminuendo così la frequenza e forza delle tempeste di sabbia”, ha spiegato la Banca Mondiale, aggiungendo che nel 2020 l’Uzbekistan ha raggiunto, con un decennio di anticipo, l’obiettivo di ripristinare 500.000 ettari di territorio.
Una strada ancora in salita – Ma certamente non è finita qui: per risolvere almeno parzialmente un simile disastro ci vuole molto di più. Per quanto riguarda il Kazakistan, per esempio, ci sono ancora porti che l’acqua non la vedono nemmeno di lontano: è il caso di Aralsk, un tempo città di pescatori e ora circondata solo dalla terra. Nonostante i risultati conseguiti, dista ancora 15 chilometri dalle sponde.
Va ancora peggio in Uzbekistan. “L’Amu Darya è ora utilizzato tutto per l’agricoltura e altre necessità economiche”, ha dichiarato Rustam Saparbayev, vicepresidente del parlamento del Karakalpakstan, in un’intervista rilasciata a ottobre a Voice of America. Immessa in cinque canali nella parte meridionale della repubblica, l’acqua del fiume non basta né per il lago né per la popolazione, che deve ridurre al minimo le proprie necessità.
Ad aggravare la situazione c’è la decisione degli afgani di costruire un canale per immettervi le acque dell’Amu Darya. Si spera di riuscire a raggiungere un accordo di spartizione delle risorse idriche, ma intanto un’altra minaccia pende sulle speranze di far rinascere il martoriato lago e di far arretrare il deserto.
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