“Una volta ho fatto io l’attore e ho capito il livello di ansia. Rivedendomi, mi sono giudicato un cane maledetto”: Paolo Genovese si racconta
Paolo Genovese il 20 febbraio esce in sala con il suo nuovo film, “FolleMente”.
Ha sempre dei cast molto ricchi.
In “FolleMente” ho attori con i quali ho lavorato per la prima volta; quando li conosci molto bene, c’è il rischio di adagiarsi, di cadere nella confidenza, per questo speso cambio. E a volte mi sorprendo.
Tipo?
Ne “Il primo giorno della mia vita” ho lavorato con Toni Servillo.
Servillo intimorisce?
Prima di lavorare con un attore, tutti quanti hanno la loro opinione sull’attore stesso, magari con giudizi pessimi: “Non lo prendere, ti fa impazzire”. “Sei matto!”. Non ascolto nessuno: troppe volte il set ha svelato un’altra verità.
E Servillo?
È meraviglioso.
Cioè?
Un vero professionista, vuole capire tutto del progetto; la prima volta che l’ho incontrato si è presentato con un tomo altissimo, pensavo fosse la mia sceneggiatura, in realtà erano le sue note.
Vivisezionata.
Per sposare completamente il progetto deve approfondire, deve evadere ogni perché. Deve assorbire tutto, non solo il suo personaggio. Non sbaglia. È generoso con gli altri…
Cosa intende per “generoso”.
Giravamo a gennaio, un freddo clamoroso. Lo guardo e gli propongo di mettersi al riparo: “Quando non sei inquadrato le battute le do io, non ti preoccupare”. E lui: “No, grazie”.
Di quale attore si fida per le improvvisazioni?
Valerio Mastandrea tira fuori cose interessanti e qualche volta abbiamo litigato, anche pesantemente; o Claudio Santamaria: in “FolleMente” è stato abbastanza vulcanico.
L’attore è sempre sotto giudizio.
Da attore ho girato una scena in “Call My Agent”: lì ho capito il livello di ansia.
Agitato.
Ho capito il problema della memoria, dei tempi, la quantità di consigli, di indicazioni ricevute. E nonostante tutto devi pure apparire naturale.
Quando ha rivisto la sua performance?
Mi sono giudicato un cane maledetto.
Quante telefonate riceve dagli attori per un ruolo?
Tante. Tantissimi messaggi. E l’aspetto più difficile è mantenere intatti i rapporti di amicizia. Questa situazione la soffro.
Con alcuni attori è costretto a giustificarsi?
In questi vent’anni almeno due amici li ho persi per non averli chiamati in un film; poi nessuno ti viene a recriminare a brutto muso, ma lo capisci, si fredda il rapporto. Ma è umano.
I suoi attori quante volte le hanno detto “sei bravo, simpatico ma della Lazio”?
(Ride) C’è rispetto; per me, Edoardo (Leo), Marco (Giallini) o Valerio (Mastandrea), il tifo è un argomento serio, raramente ci prendiamo in giro. Se ci facciamo le battute, finisce male.
Altro amico romanista: Giovanni Floris…
Amici da una vita: da ragazzi le nostre domeniche pomeriggio erano delle sedute casalinghe per vedere i film di “Vacanze di Natale”, “Lo squalo”, “Indiana Jones”.
“Perfetti sconosciuti” le ha aperto le porte del cinema.
Sì, però sono arrivato lì dopo commedie apprezzate, come “Immaturi” e “Tutta colpa di Freud”.
Aggiungiamo “Incantesimo napoletano”: un gioiello.
Lo adoro, prodotto dal meraviglioso Amedeo Pagani: sono orfano di quella generazione di cinematografari.
Che accadeva?
Allora ero giovanissmo, vivevo da solo, e magari mi svegliava all’una di notte: “Vieni, ho un’idea perché non funziona una cosa”. È successo più volte. E allora ci chiudevamo nella sua casa piena di libri e fumo di sigarette e tutta la notte lavoravamo, magari con in mano un bicchiere di whisky.
Primo film a 33 anni. Bene arrivarci tardi?
Credo di sì. La mia era una famiglia normale, non poteva mantenermi, quindi dovevo lavorare, non dedicarmi al cinema.
Soluzione?
Ho studiato Economia e Commercio, quindi assistente universitario, volontariato, poi ho lavorato in azienda, in alcune società di revisione.
Giacca e cravatta.
Sempre.
A suo agio?
Poi ti adegui; l’estate ho lavorato nei villaggi con uno sconosciuto Fiorello. Infine sono arrivato al cinema.
E…
Vivere tante vite diverse è stato estremamente utile perché quando scrivo attingo nelle mie tante esperienze.
Com’era Fiorello?
Fenomenale. Finito lo spettacolo restava e dire stupidaggini con il pubblico, mettendo in mezzo tutti, ed erano meglio dello spettacolo stesso. Noi lì incantati; (torna a prima) oltre tutto questo aggiungo la militanza politica.
Era un morettiano?
Assoluto. E da giovane sono stato molto di sinistra, ci ho creduto.
Se ascolta o vede qualcosa che richiama gli anni in cui ci credeva?
Ieri sera ho visto la Grande ambizione e quando ho sentito “Eppure soffia” di Bertoli mi sono venuti gli occhi lucidi; (abbassa la voce) la prima litigata violenta con i miei, è avvenuta per la politica, anzi per una manifestazione.
Cosa è accaduto?
Anni 80, organizzano un sit-in sotto l’ambasciata del Cile. I miei: “Tu non ci vai”. “Ok, gioco a pallone”. Invece corro lì, ma ero tra i più piccoli e mi piazzano davanti allo striscione “Compagno Allende, il Cile non si arrende”. La sfiga è stata che mi riprende il Tg della Rai, i miei lo vedono e sono stati cavoli.
Rimorchiava con le manifestazioni?
Meno di tutti i miei compagni di scuola di destra: parlavamo tanto, di massimi sistemi, e pareva brutto interrompere quei flussi di coscienza e “andiamo a fare una passeggiata?”; loro erano più concreti.
Scene di sesso, poche.
Non le so girare, m’imbarazzo. E ho sempre paura che l’attrice non si senta a suo agio.
Quanti progetti ha nel cassetto?
Tantissimi, e mi angoscia una certezza: non li potrò realizzare tutti.
Le pesano i prossimi 60 anni?
Ci penso. E devo iniziare a selezionare le cose da fare.
Lei chi è?
Troppo difficile. Non so rispondere. Sicuramente una persona che ama raccontare storie.
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