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Tatuaggi: da Sanremo alla Generazione Z, ora il vero atto di ribellione è non averne

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Fino a qualche anno fa, avere la pelle immacolata sembrava quasi un’anomalia. Tatuarsi era un imperativo sociale, un segno di appartenenza a un’epoca in cui l’arte dell’inchiostro aveva travolto qualsiasi distinzione di classe o di gusto. Simboli tribali, scritte motivazionali, ritratti pop, piccoli disegni sulle dita: tutto era concesso. Una pelle vergine? Da riempire al più presto.

Basta tatuaggi al Festival di Sanremo

Eppure, qualcosa si sta muovendo. Ce lo racconta il termometro della pop culture per eccellenza, il Festival di Sanremo, che quest’anno ha visto Tony Effe, il trapper dall’estetica bad boy, presentarsi con i tatuaggi coperti dal trucco. «È vero, anche in faccia. Cioè, non si vedono», ha commentato quando l’intervistatrice di Rai Radio 2 gli ha fatto notare l’inversione di rotta. Lei stessa ha confessato di essere alle prese con il laser per eliminare i suoi tattoos. E Tony Effe ha risposto senza filtri: «Lo dovevo fare anch’io, solo che non facevo in tempo».

È davvero la fine del tatuaggio come simbolo di ribellione o stiamo solo assistendo all’ennesima metamorfosi di una moda? La risposta, come sempre, è più complessa.

Tatuaggi fuori moda? Lo scontro tra generazioni

I numeri raccontano infatti un’altra storia: in Italia quasi una persona su due è tatuata. Secondo uno studio della Dalia Research, il 48% della popolazione ha almeno un tatuaggio, facendoci schizzare in cima alla classifica come Paese con più tatuati al mondo. Se dunque il dato sembra contrastare con la percezione di una tendenza in declino, la realtà è che la cultura del tatuaggio si sta semplicemente trasformando. I tatuatori non chiuderranno bottega così presto.

Per i Millennials, il tatuaggio è stato il simbolo di un’identità costruita a colpi di ago e inchiostro: un linguaggio visivo fatto di scritte sulle costole, piume che si dissolvono in stormi di uccelli, simboli dell’infinito e date incise sulla pelle come promemoria di un passato personale. Per la Gen Z, invece, è sempre più percepito come un fenomeno cheugy, un termine nato su TikTok per indicare tutto ciò che è superato e vagamente imbarazzante, alla stregua delle borse monogrammate di Louis Vuitton o delle ballerine con fiocchetto. Il loro verdetto è: il tatuaggio rischia di rovinare il look al pari di un adesivo appiccicato sul paraurti di una Bentley.

La generazione dei pentiti e la cancel culture dell’inchiostro

La questione non è solo estetica. L’epoca della cancel culture ha toccato anche i tatuaggi: sempre più persone si pentono delle scelte fatte con l’entusiasmo della giovinezza e si sottopongono a dolorose sedute laser per rimuoverli. Non è un caso che le rimozioni hanno superato il 30% negli ultimi anni.

Secondo l’Istituto Superiore di Sanità, dei sette milioni di italiani tatuati, ben due milioni hanno fatto un passo indietro. Le ragioni del ripensamento sono molteplici: il 61% lo fa per cancellare il nome dell’ex, il 45% vuole rimediare a tatuaggi mal eseguiti, mentre il 41% dire addio a disegni legati a rapporti ormai chiusi con ex amici o parenti. Non mancano i pentimenti di moda: il 33% rinnega i tatuaggi tribali, un tempo simbolo di tendenza, oggi considerati démodé. Infine, chiude la classifica chi vuole eliminare disegni troppo grandi o troppo visibili, spesso fonte di imbarazzo.

Autenticità vs. trend: il nuovo status dei tatuaggi

Una cosa è certa: il tatuaggio non è destinato a scomparire. Semmai, sta attraversando una metamorfosi culturale. Da un lato, si assiste a un ritorno nostalgico alle scuole del passato: i tribali anni ’90, le scritte gotiche, il blackwork radicale, il cybersigilism dall’impronta futuristica. Dall’altro, avanza la corrente minimalista, che riduce l’inchiostro all’essenziale, fino a renderlo quasi invisibile. E per chi non vuole impegnarsi definitivamente, cresce il mercato dei tatuaggi temporanei iper-realistici, un settore in piena espansione.
Ma il punto nodale non è l’atto di tatuarsi in sé, bensì il suo significato nella società. Un tempo simbolo di ribellione, il tatuaggio è diventato, per molti, una divisa di massa. L’esibizionismo ha lasciato il posto alla ricerca di autenticità, ma con un paradosso: oggi, il vero gesto di rottura è restare senza inchiostro. Tuttavia, parlare di fine di un’epoca sarebbe ingenuo. La moda non scompare, muta, si reinventa. Proprio come Tony Effe, che ha coperto i suoi tatuaggi per una notte senza cancellarli davvero, anche la società sembra cercare nuovi modi per imprimere sulla pelle il segno della propria identità.

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