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Trump insiste: “Gaza agli Usa dopo la fine dei combattimenti”. Hamas chiede un summit urgente dei Paesi arabi

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Donald Trump non ha mai amato la diplomazia da salotto, e nemmeno le trattative in punta di fioretto. La sua politica estera si è sempre nutrita di rotture, scossoni e dichiarazioni che, al primo impatto, sembrano sparate ad alzo zero. Ma il colpo sulla Striscia di Gaza potrebbe essere molto più che un fuoco d’artificio verbale. L’ex presidente ha gettato sul tavolo un’idea che ha mandato in fibrillazione l’intero ordine globale: un piano per trasformare l’attuale campo di guerra in una lussuosa Riviera, sotto il controllo americano. «La Striscia di Gaza verrebbe consegnata agli Stati Uniti da Israele alla fine dei combattimenti. I palestinesi sarebbero reinsediati in comunità molto più belle e sicure, con case nuove e moderne», ha scritto il tycoon sul suo social Truth, tornando su quanto aveva già detto ieri dopo l’incontro con il premier israeliano Benjamin Netanyahu. «Nessun soldato americano» sarà impiegato sul campo, ha precisato inoltre. Una proposta che ha il sapore della provocazione, ma che, secondo diversi analisti, è stata confezionata con un preciso obiettivo: svegliare l’Arabia Saudita e i suoi alleati.

Una provocazione per smuovere le acque

Il piano, se così si può chiamare, sarebbe nato dalla frustrazione di Trump per l’inerzia della diplomazia internazionale. «Così non può andare avanti», ha detto al primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu nello Studio Ovale. Ma subito c’è stato chi ha voluto mettere sulla vicenda il bollino di presunti interessi personali del presidente, chiamando in causa il genero Jared Kushner, il quale un anno fa aveva osservato il valore strategico della costa di Gaza in termini di business. La tesi è che dietro le parole dell’inquilino della Casa Bianca non vi sarebbe una visione geopolitica, più o meno condivisibile, ma la volontà di portare avanti una speculazione immobiliare.

Il gioco del pugile: colpire e poi negoziare

La comunità internazionale è convinta del fatto che Trump sappia bene che il suo piano non potrà vedere la luce. Ciononostante in molti hanno lanciato allarmi e preso distanze, con toni che tendono a dimenticare ciò che The Donald ha ampiamente dimostrato fin qua: una modalità negoziale che parte sempre con il colpo più duro, per valutare la reazione e poi portare a casa un risultato possibile. Dunque, appare piuttosto credibile che l’annuncio di un “mega-resort” nella Striscia non sia affatto un progetto strutturato, ma una strategia negoziale. Con ogni probabilità per costringere gli alleati arabi a prendere posizione.

«Il Potus voleva azione», ha rivelato un alto funzionario informato sull’incontro. «E parlava di fare qualcosa di audace, qualcosa di completamente opposto a quanto fatto finora per riportare una parvenza di normalità, o ciò che passa per normalità».

Costringere gli alleati arabi a prendere posizione

La reazione del regno saudita non si è fatta attendere: in un comunicato ufficiale, l’Arabia Saudita ha ribadito che la creazione di uno Stato palestinese resta il perno di ogni accordo di normalizzazione con Israele. Un messaggio chiaro, che non ammette deviazioni. Perché se l’idea trumpiana fosse anche solo presa in considerazione, il mondo arabo potrebbe leggerla come un tradimento dell’impegno storico verso la causa palestinese. Riad si è trovata di fronte a un bivio: ignorare l’uscita di Trump e rischiare di essere accusata di complicità, oppure ribadire con fermezza la propria linea rossa. Ha scelto la seconda. The Donald, intanto, ha scosso il tavolo.

Netanyahu sorpreso, ma non contrariato

L’uscita del 47esimo presidente ha mandato in confusione persino gli israeliani. Netanyahu, che si era presentato alla Casa Bianca per parlare di Iran, si è ritrovato davanti a una proposta che, se da un lato suona come musica alle orecchie della destra israeliana, dall’altro chiama alla prudenza. Per Israele, l’idea di Gaza sotto un nuovo controllo che escluda Hamas è allettante, ma la prospettiva di una gestione americana della Striscia è un’ipotesi che non era neanche stata considerata.

Ma, dove vanno i palestinesi?

Uno degli aspetti più controversi dell’annuncio riguarda tuttavia il destino dei gazawi. Secondo fonti diplomatiche, il tycoon ipotizza un ricollocamento di massa, ma senza indicare chiaramente dove e come. L’Egitto e la Giordania hanno già fatto sapere di non essere disponibili ad accogliere grandi numeri di rifugiati palestinesi. Inoltre nemmeno questi ultimi sembrano amare l’idea, preferirebbero muoversi verso Paesi più ricchi.

Hamas trema davanti a Trump e chiama al summit

Nel frattempo Hamas corre ai ripari chiedendo un «summit arabo urgente» sulla proposta avanzata da Trump. A dichiararlo, il portavoce delle milizie Hazem Qassem, che ha invitato «i vari partiti palestinesi a unirsi» e a «popoli arabi e organizzazioni internazionali di adottare misure forti per respingere il progetto di Trump». «Completamente inaccettabili», ha detto riguardo le idee formulate dal presidente, accusando Washington di voler «occupare la Striscia». «Non abbiamo bisogno di alcuno Stato per gestire Gaza e non accetteremo di sostituire un’occupazione con un’altra», conclude Qassem.

L’effetto shock e la realtà dei fatti

Nonostante l’immediata indignazione internazionale, le proposte di Trump vanno sempre lette su più livelli. Da un lato, c’è la provocazione politica, volta a smuovere gli attori regionali. Dall’altro, c’è il sottotesto di una strategia che punta ad alzare il prezzo delle trattative, imponendo l’agenda americana. 

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