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Lo Voi ha infranto le regole della sua procura?

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Dopo l’iscrizione di Giorgia Meloni e di alcuni ministri nel registro degli indagati per il caso Almasri mi è venuta voglia di scoprire quante denunce arrivino ogni anno alla Procura di Roma. La ragione della mia curiosità è evidente. Se Francesco Lo Voi, capo dell’ufficio giudiziario della Capitale, ha potuto prendere immediatamente visione dell’esposto presentato dall’avvocato Luigi Li Gotti e altrettanto rapidamente ha potuto indagare la premier e i suoi principali collaboratori, vuol dire che la giustizia non è affatto soverchiata da una montagna di segnalazioni di reato, come spesso i magistrati dicono per giustificare i ritardi con cui si concludono i processi.

Non è stato facile scoprire il numero di esposti che annualmente vengono recapitati ai pm romani, perché né il ministero della Giustizia né il tribunale pare tengano statistiche al riguardo. Tuttavia, qualche volta la fortuna assiste i cronisti e in questo caso a venirci in soccorso è stata una circolare firmata qualche anno fa dal predecessore di Lo Voi. Giuseppe Pignatone, ex capo della Procura, nel 2017 scrisse infatti una nota a tutti i colleghi pm per assicurare «l’osservanza delle disposizioni relative all’iscrizione delle notizie di reato». Si tratta di sette pagine di indicazioni pratiche, per assicurare il rispetto della legge, ovvero il vaglio di tutte le denunce che - udite, udite - solo per quanto riguarda l’ufficio della magistratura requirente in un anno raggiungono lo stratosferico numero di 350.000. Sì, avete letto bene: praticamente 1.000 al giorno, sabati e domeniche compresi. Ora, voi capite che una cifra così spaventosa fa comprendere quale titanico sforzo abbia compiuto Francesco Lo Voi quando la scorsa settimana, in mezzo a una montagna di esposti giunti come ogni giorno in Procura, ha pescato proprio quello che riguardava Meloni e i ministri. Mi sono chiesto se sul computer del boss dei pm ci sia un alert che scatta quando compare il nome del presidente del Consiglio. Oppure se esista un particolare canale in grado di differenziare le denunce, instradando verso il procuratore capo quelle che riguardino le alte sfere del Paese. Ma alla fine mi sono detto che no, non potevano esserci né un programma né delle disposizioni che consentissero alle segnalazioni sul premier e sui ministri di saltare la fila. Deve proprio essere l’efficienza dell’ufficio giudiziario rappresentato da Lo Voi ad aver consentito un’iscrizione in tempi record.

Però la circolare di Pignatone è interessante non soltanto perché rivela il fiume di denunce presentate ogni anno nella Capitale, ma anche perché l’allora numero uno dei procuratori in essa spiega come e quando iscrivere il nominativo di qualcuno nel registro degli indagati. Secondo l’ex procuratore capo, infatti, apporre il nome nel librone dei reati non è affatto automatico, né obbligatorio, come invece pare intendere Lo Voi. Pignatone si richiama al codice di procedura penale, là dove si spiega che l’esposto, dopo essere stato registrato, viene sottoposto al procuratore della Repubblica per «l’eventuale iscrizione nel registro delle notizie di reato». Eventuale, non obbligatoria. Per l’ex capo dei pm della Capitale non c’è cioè nulla di automatico, perché «come riconosciuto più volte dalla Cassazione» è compito precipuo ed esclusivo del pm la valutazione del contesto.

Ma Pignatone va anche oltre, spiegando come l’iscrizione nel registro degli indagati spesso «divenga strumentalmente utilizzabile, dai denuncianti o da altri, per fini diversi rispetto a quello dell’accertamento processuale, specie in contesti di contrapposizione politica, economica, professionale, sindacale, ecc». In pratica, otto anni fa, il procuratore capo di Roma sembrava anticipare ciò che è accaduto con il caso del torturatore libico da cui è scaturita la denuncia contro Meloni e i ministri.


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