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Январь
2025

Perché la Apple non brilla più

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È l’azienda che vale più di tutte al mondo: oltre 3.400 miliardi di dollari, 44 volte la capitalizzazione di Intesa SanPaolo, il maggior gruppo bancario italiano. Negli ultimi 12 mesi il titolo Apple è salito del 26 per cento. E nella classifica stilata da Fortune delle imprese più ammirate del pianeta occupa da anni il primo posto. Eppure sul futuro della impresa tech per eccellenza si allungano le ombre del declino. Ne parlano tra di loro gli appassionati della Mela: rimpiangono quel magico, emozionante periodo segnato dal lancio di prodotti iconici, belli come opere di design, capaci di cambiare per sempre la nostra vita digitale.

Alle spettacolari presentazioni di Steve Jobs «l’effetto wow» era assicurato, soprattutto quando il fondatore della casa di Cupertino, scomparso il 5 ottobre 2011, pronunciava la fatidica frase «One more thing». E con l’arrivo di un nuovo iPhone o dell’iPad nei negozi Apple, la gente si accampava davanti alle vetrine per accaparrarsi l’ultima novità.

Oggi quella magia si è spenta. Si è perso il conto delle versioni di iPhone in circolazione, più o meno una uguale all’altra, e da tempo il colosso guidato da Tim Cook non sembra più capace di inventare qualcosa di rivoluzionario. L’azienda che con iMac, iTunes, iPod e iPhone ha sconvolto il mondo dell’informatica e della musica, creando una vera e propria nuova economia e infilando nelle nostre tasche un mini-computer con touchscreen capace di fare di tutto, non è stata in grado di emergere nel fondamentale settore dell’intelligenza artificiale. E l’ultimo dispositivo targato Apple, il Vision Pro presentato nel 2023, è un mezzo fiasco: oggetto poco pratico e costoso (3.499 dollari), dopo una prima fase di discreto successo ha deluso le aspettative e la società ne ha dovuto ridurre la produzione.

Dalla morte di Jobs, gli unici prodotti di massa davvero interessanti sfornati da Cupertino sono stati gli Apple Watch e gli AirPods. Intanto Meta, insieme a EssilorLuxottica, ha dato vita a un nuovo mercato, quello degli smart glasses, che sarebbe stato un tipico terreno di caccia di Apple vista la sua capacità di realizzare oggetti portatili estremamente sofisticati. Un’occasione mancata. «Siamo di fronte alla differenza tra un’innovazione radicale e un’innovazione di aggiustamento» commenta Umberto Bertelè, chairman degli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano. Indubbiamente Cook non ha firmato molte innovazioni radicali come Jobs, è la tesi di Bertelè, ma l’attuale amministratore delegato ha avuto la straordinaria capacità di sfruttare fino in fondo l’ecosistema dell’iPhone, migliorando la produzione e portando casa risultati incredibili in termini di utili e fatturato. La società californiana eccelle ancora in qualità e continua a fare montagne di profitti: produce smartphone perfetti e affidabili, migliora costantemente i sistemi operativi, i suoi microchip sono eccezionali. Ma campa su innovazioni del passato.

Una tesi sostenuta da Mark Zuckerberg, acerrimo rivale di Cook. Parlando con Joe Rogan, conduttore di un seguitissimo podcast, il numero uno di Meta-Facebook ha dichiarato che Apple «non inventa più nulla di significativo da diverso tempo» e che nell’industria tech «se non fai un buon lavoro per 10 anni, prima o poi qualcuno finirà per superarti». Zuckerberg ha affermato che l’azienda fondata da Jobs è ancora ferma all’iPhone, ruota tutta intorno alla grande invenzione di 18 anni fa: «Anno dopo anno il numero delle vendite (di iPhone, ndr) è piatto o in declino, il motivo è che ogni nuova generazione non è così migliore della precedente. Quindi le persone ci mettono di più ad aggiornare (lo smartphone, ndr) rispetto a prima. E come fanno a guadagnare di più come azienda? Essenzialmente spremono soldi alla gente e obbligano gli sviluppatori a questa tassa del 30 per cento».

Zuckerberg si riferisce al meccanismo delle commissioni che gravano sull’App Store: Apple trattiene il 30 per cento su tutte le vendite di app e sugli acquisti in-app per la maggior parte degli sviluppatori. Dal 2021 la società ha introdotto un programma per piccoli sviluppatori che riduce la commissione al 15 per cento per chi guadagna meno di un milione di dollari all’anno da tutte le proprie app. Il meccanismo messo in piedi da Apple è oggetto di critiche e indagini antitrust in vari Paesi, con accuse di pratiche monopolistiche, soprattutto perché l’App Store è l’unico canale per la distribuzione di app sui dispositivi Apple. Il capo di Meta ha aggiunto poi alcune informazioni poco note sui «trucchi» utilizzati dai tecnici di Apple: «Ostacolano completamente la possibilità per chiunque altro di creare qualcosa che possa essere connesso all’iPhone (come gli AirPods, ndr). Avremmo voluto alcune funzionalità per gli occhiali Meta Ray-Ban: in particolare, un protocollo di comunicazione per semplificare la connessione ma ogni volta che si parla in interoperabilità diventano super sensibili e innalzano le loro difese parlando di violazione della privacy delle persone e di sicurezza. In realtà quel protocollo è insicuro per design e usano questa giustificazione per permettere unicamente ai loro prodotti di collegarsi in modo semplice».

Esaminando i dati di bilancio della società di Cupertino le tesi di Zuckerberg sull’importanza delle commissioni e sui rischi di declino per gli iPhone paiono fondate: anche se nell’ultimo trimestre dell’anno fiscale 2024 Apple ha messo a segno risultati record, nell’intero esercizio il fatturato è salito solo del 2 per cento rispetto all’anno precedente, a quota 391 miliardi di dollari, ed è in leggero calo rispetto ai 394 miliardi del 2022.

Di quei 391 miliardi, il grosso, 201 miliardi, proviene dalle vendite di iPhone, stabili rispetto al 2023 e in lieve diminuzione rispetto al 2022. La seconda voce per importanza è quella dei servizi, in deciso aumento dai 78 miliardi del 2022 ai 96 miliardi del 2024. Anche sul fronte dei margini lordi, elevatissimi (180 miliardi di dollari nel 2024), quelli sui prodotti sono tendenzialmente in flessione mentre quelli sui servizi sono sempre più elevati. Il problema è che il trono di Apple nel regno degli smartphone inizia a traballare.

Nel 2024 le vendite globali di iPhone sono diminuite del 2 per cento su base annua in un periodo in cui il mercato complessivo è cresciuto del 4 per cento. Secondo i dati di Counterpoint Research, la quota di mercato dei telefoni con la mela è scesa al 18 per cento, meno 19 per cento dell’anno precedente. Mentre i produttori cinesi hanno registrato una crescita significativa, con Xiaomi che ha segnato un impressionante aumento delle vendite del 12 per cento.

E giovedì 16 gennaio la società di ricerche Canalys ha rivelato che lo scorso anno Apple ha perso lo scettro del maggiore venditore di smartphone in Cina: le consegne di iPhone sono scivolate del 17 per cento e la società è finita al terzo posto superata da Vivo e Huawei. Tra le ragioni del declino ci sarebbe l’assenza di funzionalità di intelligenza artificiale negli ultimi iPhone venduti nel grande Paese asiatico, dove ChatGpt non è disponibile. «Questo segna una delle peggiori prestazioni annuali di Apple in Cina», ha dichiarato a Reuters l’analista di Canalys Toby Zhu. «La posizione di mercato premium di Apple affronta molteplici sfide: le continue versioni di punta di Huawei, la proliferazione di telefoni pieghevoli nazionali in segmenti di prezzo elevato e marchi Android come Xiaomi e Vivo che costruiscono la fedeltà dei consumatori attraverso innovazioni tecnologiche».

Parlare di una Apple al tramonto è eccessivo, e anche se il precedente di Nokia è inquietante qui abbiamo un gigante che ha costruito nel tempo un’immagine fortissima. «Non è la prima volta che si parla di un declino di Apple» aggiunge Bertelè «ma la società è arrivata fino a oggi con quel valore di Borsa. Certo, il futuro è critico. Immaginare un’altra era come quella inaugurata da Jobs è difficile. Probabilmente sarà l‘intelligenza artificiale il prossimo “prodotto” che cambierà la nostra vita». E proprio sull’Ia Apple è in ritardo. Sono trascorsi quasi 30 anni da quando nel 1997 la Apple coniò lo slogan «Think different» ed ebbe la forza di reinventarsi. Forse è il momento che la società torni a pensare in modo differente. n

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