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Le cattive abitudini

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LR24   (AUGUSTO CIARDI) - Abbiamo passato gli ultimi sette anni a esprimere giudizi sui calciatori non rendendoci conto che li abbiamo ritenuti all'altezza o scarsi in base alla posizione in graduatoria deficitaria della Roma e non in funzione di una Roma di alta classifica, perché ci siamo via via assuefatti ai piazzamenti deprimenti . Ci siamo di conseguenza accontentati inconsciamente dei venticinque minuti di buon gioco, dei primi tempi decenti, di un paio di scorribande dei singoli, ci siamo persino esaltati per gli sparuti gol che riabilitavano tizio e caio. Per una Roma che da quinta e sesta ha iniziato poi a bazzicare il settimo posto , per poi ridursi addirittura ad agognarlo quel mediocre obiettivo. La Roma perennemente settima ha alterato il metro di giudizio sui singoli.

Ci dividiamo su Baldanzi , che nel Napoli di Conte avrebbe meno spazio persino di Raspadori. Tendiamo a esaltare Ndicka , che magari nell'Atalanta faticherebbe a trovare un posto da titolare. Ci aggrappiamo ad Angelino , che per spirito e qualità tecniche nella Roma attuale è un leader, ma che in una squadra costantemente in zona Champions League sarebbe una validissima pedina, ma alternativa ai titolari. Non ci rendiamo conto di quanto sia complicato mettere a punto la rivoluzione. Perché i tempi di bonifica sono lunghi.

Otto anni fa, per arrivare a Defrel la Roma infilava nel pacchetto dei gadget Frattesi , che oggi l'Inter è disposta a vendere per quaranta milioni. Spariamo sulla croce rossa Ghisolfi , omettendo di dire che la catastrofe ha origini lontane . Quando si lasciavano in dote Doumbia e Diawara , quando Monchi puntava Mahrez ma alla fine chiudeva per Schick e comprava per il centrocampo Nzonzi e Pastore , o quando Tiago Pinto realizzava i sogni degli altri strapagandogli Vina e Shomurodov . La Roma che in Europa ha mantenuto la rotta giusta grazie a cavalcate inaspettate o alle capacità di chi ci sa fare, in Italia è miseramente affondata. Al punto che una piazza solitamente spavalda e sfrontata nell'autoconsiderazione, ha avviato un processo di ridimensionamento dell'ego.

Pensiamoci bene: fra i calciatori e i tecnici più discussi degli ultimi anni, figurano Mourinho , Lukaku e Dybala . Davanti al nome di Allegri ci si chiede se sia il caso di puntare su di lui e se sia ancora all'altezza. Gente che ha vinto e stravinto. Gente che andrebbe seguita e ascoltata. Non a Roma. Dove invece di farci domande su calciatori e tecnici mediocri transitati a Trigoria nelle ultime stagioni, si sono aperti dibattiti sull'utilità di ingaggio di top manager e campioni.

Mourinho, Lukaku e Dybala sono da Roma?

Allegri farà giocare bene la Roma?

Quale Roma? Perché è certo che non siano funzionali in una Roma che via via si è appiattita.

Perché viaggiando nettamente sopra il livello di mediocrità, certe gente, certi campioni, non fanno pendant con un livello che irrimediabilmente si è abbassato anche alla voce ambizione. E invece di pensare a come affiancargli gente di personalità e qualità, si è cercato in loro il problema. Sia mai si fossero azzardati a diffondere il virus dell'ambizione. Facile e sbrigativo affermare che Dybala e Lukaku hanno contribuito al flop. Troppo complicato chiedersi quanti gol in più avrebbero fatto se i palloni glieli avessero recapitati calciatori diversi da Karsdorp , Celik e Kristensen . Gli ambienti non condizionano le stagioni. Ma il piattume a cui ci si è abituati, ha annacquato il senso di necessità di competitività. Ci basta un gol-cometa di Pellegrini per fare i caroselli, un'uscita palla al piede di Ndicka per chiederci se somiglia di più ad Aldair o a Juan, una mezza giocata di Angelino per urlare alla classe di Candela unita alle progressioni di Nela. Cerchiamo di capire chi non sia da Roma. Non rendendoci realmente conto che stiamo parlando di una Roma quasi da metà classifica. Perché per una Roma ambiziosa e competitiva faremmo prima a contare i pochi che potrebbero restare. Pochi pochi.

In the box - @augustociardi75