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Январь
2025

Mps, via libera dalla Ue. Con la sinistra ci era costata 20 miliardi, oggi “scala” Mediobanca

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I numeri parlano chiaro: gli interventi pubblici e privati completati dal 2012 per salvare il Monte dei Paschi di Siena, quando la governance era completamente appaltata a sinistra, enti locali compresi, hanno comportato un costo complessivo di circa 20 miliardi di euro. Venti in dieci anni, è la sintesi brutale. Poi, forse per una favorevole congiuntura astrale o forse perché liberata dal giogo della politica, Mps nel 2025 è risorta, al punto da essere in condizione di poter “scalare” il gigante Mediobanca. Sarà un caso, o forse no. Quello che è certo è che la storia di Mps è stata caratterizzata da un intreccio tra politica e banca, soprattutto attraverso la Fondazione Monte dei Paschi, controllata dal Comune di Siena, a sua volta governato per decenni da amministrazioni di sinistra, una vicinanza politica di Mps al centrosinistra con figure chiave che negli anni sono state individuate in D’Alema e Prodi. Oggi che Mps si lancia all’assalto di Mediobanca, in piena era Meloni, e incassa anche l’ok della Ue all’operazione (su cui domani si esprimerà il Cda di piazzetta Cuccia) in tanti, a sinistra, sembra essersene dimenticati. E sollevano dubbi, perplessità, lanciano allarmi sui sovranismi bancari…

Mps e la sinistra che ha scialacquato 20 miliardi di euro

Ma cos’è accaduto in questi anni per giustificare il profondo “rosso” dell’ex banca “rossa”? Nel 2012 si scoprì che il braccio finanziario della sinistra toscana, e non solo, portava in pancia i segni della crisi a causa delle pessime operazioni speculative con derivati come “Alexandria” e “Santorini”, utilizzati per mascherare perdite. Era la fine dell’era De Bustis, il banchiere salentino legato a Massimo D’Alema, poi inizia l’era prodiana ma il primo soccorso statale è del 2012,  con i “Monti Bond” per 4,1 miliardi di euro; nuova gestione, Fabrizio Viola e Alessandro Profumo, crisi perdurante, arriva Marco Morelli, ma il quadro resta preoccupante: nel 2016, Mps risultò la banca europea più vulnerabile secondo gli stress test della Bce e fu avviata una ricapitalizzazione da 5 miliardi di euro, che però non trovò sufficiente interesse da parte degli investitori privati. Nel 2017, lo Stato italiano investì 8,1 miliardi di euro per salvare la banca attraverso una ricapitalizzazione precauzionale. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) divenne azionista di maggioranza con una partecipazione superiore al 68%. La ricerca di partner, negli anni a cavallo tra il 2018 e il 2020, non sortì grandi effetti, iniziarono i tagli e le chiusure degli sportelli,  poi col governo Meloni, nel novembre 2024, a conti sistemati, iniziò il percorso opposto. Il ministro Giorgetti fece fare allo Stato un passo indietro con la cessione, da parte del Mef, del 15% delle azioni di Mps, riducendo la sua quota all’11,5%. Entrarono nuovi azionisti, i cavalieri “bianchi” Francesco Gaetano Caltagirone e gli eredi di Leonardo Del Vecchio, fino alla svolt,  quando il Monte Paschi lancia un’offerta per acquisire Mediobanca, puntando a creare un terzo polo bancario in Italia.

Il profondo “rosso” calcolato da Unimpresa

Il calcolo dei 20 miliardi di risorse pubbliche e private scialacquate in venti anni, dal 2012, è del Centro Studi di Unimpresa. “Dopo decine di miliardi necessari a evitare un fallimento, quello del Monte dei Paschi di Siena, nel labirinto delle complesse vicende del nostro sistema bancario, l’operazione che vede proprio Mps poter unire le forze con Mediobanca rappresenta non solo una svolta storica, ma un esempio di visione strategica per la messa in sicurezza dei risparmi degli italiani. E’ un progetto che mette al centro la tutela dei depositi delle famiglie, il sostegno alle imprese e la stabilità del nostro fragile ecosistema economico”, commenta la presidente di Unimpresa, Giovanna Ferrara.

Primo via libera dalla Ue

La Ue, intanto, ha dato la sua benedizione all’operazione Mps-Mediobanca. La portavoce per la Politica di concorrenza della Commissione europea, rispondendo oggi a una domanda specifica di un giornalista, ha spiegato che “dal punto di vista del controllo delle fusioni, l’offerta di Mps nei riguardi di Mediobanca non deve essere notificata alla Commissione”, almeno non necessariamente. Perché, ha continuato, “come sempre, sta alle parti in causa valutare se la transazione debba essere notificata alla Commissione ai sensi delle regole Ue sulle concentrazioni”. La portavoce ha precisato, inoltre, che “a seguito della cessione della maggior parte della partecipazione italiana in Mps, che ha portato alla perdita del controllo sulla banca” da parte del Tesoro, “Mps non è più vincolata al suo impegno di astenersi dalle acquisizioni, ai sensi della decisione della Commissione del 2022 sugli aiuti di Stato”. Questo “le consente di intraprendere le azioni aziendali che riterrà appropriate per perseguire i propri interessi aziendali”, ha concluso la portavoce, dopo aver ricordato che “la Commissione è in stretto e costruttivo contatto con le autorità italiane”.

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