ru24.pro
World News in Italian
Январь
2025

I separatisti che vogliono più Russia

0

I colori della bandiera sono uguali a quella russa e le uniformi da parata molto simili alle divise di Mosca. Solo che militari e poliziotti, che hanno sfilato il 9 gennaio a Banja Luka, la «capitale» della Republika Srpska, fanno parte di una delle entità che compone la fragile Bosnia-Erzegovina. Non solo: la celebrazione della giornata nazionale, vista come fumo negli occhi da Sarajevo e dalla comunità internazionale, è il simbolo dell’orgoglio patriottico nato dalla tragedia della guerra etnica. «Quelli che non riescono a emigrare per rifarsi una vita all’estero sono ultranazionalisti e in molti hanno combattuto» spiega a Panorama un italiano che vive da anni nella Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina (Republika Srpska). «Vedono come faro la Russia e Vladimir Putin e non vogliono saperne dell’Unione europea» sottolinea la fonte che preferisce rimanere anonima. «L’obiettivo di molti, da queste parti, è unirsi alla Serbia o diventare autonomi al 100 per cento rispetto a Sarajevo». Lo spettro della secessione aleggia nella fetta di Bosnia in mano ai serbi, uno dei focolai come il Kosovo dove il Cremlino è un punto di riferimento. Non sono le uniche spine nel fianco dell’Occidente assieme al Donbass: nel Caucaso, le repubbliche secessioniste dell’Abkhazia e dell’Ossezia del Sud, protettorati russi, sono conficcate nella Georgia. E la Transnistria rimasta ferma ai tempi dell’Urss, è una fetta di territorio fra Ucraina e Moldavia.

La Republika Srpska è il tassello dei focolai separatisti più vicino a noi. Il 9 gennaio sono sfilati anche gli «angeli di Putin», i motociclisti che dalla Crimea in poi rappresentano la Grande Russia. E ovviamente sul palco d’onore c’era l’ambasciatore di Mosca a Sarajevo, Igor Kalabukhov, e il premier di Belgrado, Miloš Vucevich. Il presidente serbo bosniaco, Milorad Dodik, un tempo pupillo degli americani, oggi sotto le loro sanzioni, ogni tanto agita lo spauracchio della secessione. «La nostra missione è uscire dalla Bosnia» il suo messaggio per la festa nazionale «e non aderire mai all’Ue». Dodik ha incontrato Putin tre volte lo scorso anno, l’ultima alla riunione del Brics a Kazan il 25 ottobre. Il presidente russo ha parlato di «Paesi fratelli». E il leader serbo-bosniaco, rivolgendosi al presidente russo, ha smentito le accuse «dell’ambasciata americana (in Bosnia, ndr) su campi nella Republika Srpska, che presumibilmente abbiamo allestito insieme per destabilizzare la Moldavia». Oppositori moldavi sarebbero effettivamente arrivati a Banja Luka, ma non ci sono prove che paramilitari russi della nuova Wagner, normalizzata, abbiano cominciato ad addestrarli per rovesciare il governo europeista di Chisinau.

«Bosnia e Kosovo sono i punti caldi che ci riguardano da vicino» osserva l’ex capo di Stato maggiore della Difesa, Vincenzo Camporini. «Putin può creare problemi anche da altre parti a cominciare dall’Estonia nell’area dei russofoni, che nell’angolo nord-orientale del piccolo Paese baltico sono l’80 per cento. Il tema della protezione di comunità o minoranze linguistiche ed etniche è terreno fertile». Il nord del Kosovo con la roccaforte serba di Mitrovica, dove esiste il mito della Wagner, è sempre stato un nodo irrisolto. Il 10 gennaio la missione Kfor, a guida Nato, ha accolto con favore la garanzia del ministro della Difesa kosovaro, Ejup Maqedonci, che il governo di Pristina non invierà le Forze di sicurezza nel Nord senza l’autorizzazione del comandante delle forze internazionali. I serbi di Mitrovica e dintorni non hanno alcuna intenzione di piegarsi al potere albanese. Solo attraverso la normalizzazione dei rapporti fra Belgardo e Pristina, si spegnerà il focolaio.Uno dei temi sul tavolo del vertice con il presidente serbo Aleksandar Vucic e la premier Giorgia Meloni previsto il 31 gennaio. «È incredibile che dopo 25 anni dalla fine delle ostilità» fa notare Camporini, in riferimento ai bombardamenti Nato del 1999 e alla vittoria degli indipendentisti kosovari «in un Paese grande come l’Umbria, dobbiamo ancora tenere migliaia di soldati dell’Alleanza atlantica per mantenere la stabilità».

Nel Caucaso si annida lo storico focolaio secessionista filorusso ereditato dalla disgregazione dell’Urss. Abkhazia e Ossezia del Sud sono due repubbliche indipendenti incuneate nella Georgia e confinanti con la Russia, unico Paese a riconoscerle. Guerre civili, pulizie etniche e appoggio militare di Mosca, compreso il conflitto del 2008 provocato dai georgiani, hanno segnato la loro storia dimenticata. «L’Abkhazia è più protesa verso una reale indipendenza, ma l’Ossezia punta a un ingresso nella Federazione russa come naturale unificazione con l’Ossezia del Nord» spiega Aldo Ferrari, docente all’università Ca’ Foscari di Venezia, che da 40 anni studia l’Eurasia.Il Cremlino mantiene cinquemila uomini in Abkhazia e punta all’apertura di una base navale sul Mar Nero, vicino alla città di Ochamchira, strategica dopo gli attacchi ucraini alla flotta russa di Sebastopoli in Crimea. Gli abkhazi dipendono dall’energia del Cremlino e hanno il passaporto russo, ma si sono rifiutati di andare in guerra in Ucraina. Il governo di Sukhumi, capitale di 65 mila abitanti, che in cambio sta svendendo la terra a Mosca sa bene che l’appoggio potrebbe non essere eterno ed è già sfilacciato perché tutte le energie sono concentrate nell’invasione dell’Ucraina. Gli osseti, al contrario, hanno mandato volontari al fianco di russi nel Donbass erigendo addirittura una statua in bronzo alta cinque metri nella città montana di Kvasysa dedicata al primo giovane caduto in battaglia a Mariupol. In tutto il Paese di 3.900 chilometri quadrati riconosciuto solo da Russia, Venezuela, Nicaragua, Nauru e Siria, prima del crollo di Assad, vivono appena 56.500 persone. L’Ossezia del Sud è un avamposto militare di Mosca nella Georgia settentrionale con cinque basi russe e almeno cinquemila uomini.

«La guerra in Ucraina ha distolto l’attenzione del Cremlino dal Caucaso. Per decenni il rapporto con la Georgia è stato conflittuale, ma il partito al potere Sogno georgiano sta migliorando le relazioni» sottolinea Ferrari. «È un governo meno ostile, che potrebbe cambiare la prospettiva di Mosca». Il direttore dell’Istituto di studi di politica internazionale per la Russia, Caucaso e Asia centrale osserva che «fino a quando Tiblisi rimaneva filo-Nato appoggiare le due repubbliche secessioniste era inevitabile, ma adesso il Caucaso meridionale potrebbe riservarci qualche sorpresa. Non è escluso che la Russia cominci a lavorare a un possibile riavvicinamento, soprattutto dell’Abkhazia, verso la Georgia. La situazione geopolitica è in movimento». Più grave lo scenario in Transnistria, il frammento di territorio fra Moldavia e Ucraina, isolata fin dai tempi del crollo dell’Urss, che ha sempre sul suo territorio 1.500 soldati russi, in parte come contingente di pace dopo la guerra civile del 1992 seguita all’indipendenza e presidio, a Rîbnia, del più grande deposito di munizioni sovietiche nell’Europa dell’Est. Nei piani iniziali, poi falliti, dell’invasione dell’Ucraina le truppe russe avrebbero dovuto arrivare fino a Odessa e stabilire un corridoio terrestre con la Transnistria. Kiev l’ha sempre considerata una spina nel fianco. Dopo tre anni il minuscolo Paese è letteralmente «alla canna del gas»: da dicembre gli ucraini hanno interrotto il passaggio del gas russo sul proprio territorio, unica fornitura, gratuita, alla Transnistria, per mezzo miliardo di dollari l’anno. Più della metà del budget delle autorità di Tiraspol dipende da quegli accordi. «Tutte le spinte secessioniste alimentate o meno dal Cremlino rischiano di continuare a essere spine nel fianco, ma la Russia è andata di gran lunga oltre le sua possibilità, come dimostra la perdita della Siria» sottolinea Ferrari. «Molto dipenderà dall’esito finale della guerra in Ucraina e dalle trattative che sembrano profilarsi con l’arrivo di Donald Trump. Anche se fosse solo una vittoria di Pirro» conclude l’esperto «il Cremlino potrebbe sentirsi rincuorato e quindi alimentare le operazioni più avventurose».

TUTTE LE NEWS DAL MONDO