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Il lato oscuro del miele

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Miele Tortola è una piccola azienda agricola in Toscana. Produce miele e suoi derivati da oltre dieci anni. La titolare, Sabrina De Lonardo, è sull’orlo di un fallimento: «Mai come quest’anno per noi apicoltori è stato un dramma: da una parte i cambiamenti climatici e dall’altra la concorrenza sleale di prodotti che arrivano dall’Europa dell’Est, dal Sudamerica o dall’Asia. Se anche l’anno prossimo dovesse andare così, sarò costretta a chiudere». Quella di Sabrina, purtroppo, non è una storia isolata. Fra proteste e scioperi, sono i numeri a rendere conto della difficoltà del settore del miele. In tutta Italia si contano quasi 75 mila apicoltori professionisti e 1,6 milioni di arnie, per una produzione di circa 22 mila tonnellate l’anno suddivisa fra 60 tipi diversi di specialità, la maggiore biodiversità documentata al mondo. Un’eccellenza che ogni anno viene messa a dura prova. A causa anche del clima più caldo la produzione è diminuita, passando da quasi 25 mila tonnellate del 2022 a 22 mila nel 2023. Eppure il miele invenduto - secondo un cortocircuito allarmante - affolla i magazzini dei produttori perché i consumatori spesso preferiscono acquistare mieli stranieri a prezzi più convenienti, piuttosto che quelli locali. Se la proposta italiana ha un costo che varia dai 7 ai 10 euro al chilo, quella straniera si ferma a uno o due euro. Il millefiori argentino - per fare un esempio - costa all’ingrosso fra 1,60 e 1,80 euro al chilo. In Italia, con un prezzo già in calo del 13 per cento rispetto al 2022, lo stesso tipo di miele si aggira intorno ai 4,60.

«Nel 2023 sono arrivati dall’estero in Italia oltre 25 milioni di chili di prodotto. Una mole a prezzi stracciati finita non a caso nel mirino di un’indagine della Commissione Ue che ha fatto analizzare una quota di campioni di miele importato, riscontrando che nel 46 per cento dei casi non è conforme alle regole comunitarie, con l’impiego di sciroppi zuccherini per adulterare il prodotto, aumentarne le quantità e abbassarne il prezzo, e l’uso di additivi e coloranti per falsificare l’origine botanica» riflette il presidente di Coldiretti Ettore Prandini. Il numero maggiore in valore assoluto di partite sospette proveniva dalla Cina (66 su 89, pari al 74 per cento), mentre il Paese con la percentuale più elevata di campioni di miele sospetti è risultata la Turchia (14 su 15, pari al 93 per cento).

«Un dumping insostenibile ai danni degli apicoltori nazionali» continua Prandini. «Per sostenere il miele italiano è importante verificare bene l’etichetta d’origine e magari acquistare direttamente dalle aziende agricole. Ma anche per questo settore occorre che in Europa venga introdotto il principio di reciprocità affinché tutto il miele che entra nelle nostre frontiere rispetti le medesime regole in materia di sicurezza alimentare, qualità e rispetto dell’ambiente e dei diritti dei lavoratori che ci sono in Italia». A farsi carico di questa battaglia, tra gli altri, il sottosegretario alle Politiche agricole Luigi D’Eramo, che ha proprio la delega sull’apicoltura: «Stiamo lavorando per realizzare una prima campagna di comunicazione con l’obiettivo di rilanciare i consumi interni» rivela. «In Ue, nell’ambito della Direttiva Breakfast, grazie alla tenacia dell’Italia è stato possibile raggiungere un risultato ambizioso: l’indicazione obbligatoria in etichetta dei Paesi di origine e delle percentuali. Nei casi in cui il miele provenga da più Stati, questi dovranno essere indicati chiaramente sulla confezione con ordine decrescente e in modo proporzionale. Rafforzando i controlli e garantendo la massima trasparenza contrastiamo la concorrenza sleale e diamo valore alla qualità del prodotto Made in Italy».

Un obiettivo sempre più necessario. Soprattutto per quanto riguarda il settore apistico che, a livello internazionale, è travolto da una sofisticazione senza precedenti. Un esempio? Al World Beekeeping Awards 2025 - premio biennale al miglior miele al mondo - non sarà assegnato alcun riconoscimento perché si è resa evidente «l’impossibilità di far testare completamente il miele per l’adulterazione». Sul punto è molto chiara la biologa Lucia Piana, riconosciuta a livello internazionale come una delle massime esperte del settore: «Le sofisticazioni del miele si dividono in due categorie: piccoli inganni che vengono facilmente smascherati dai continui controlli effettuati sul prodotto, e frodi su larga scala nel mercato internazionale. In Italia la situazione è controllata grazie a normative più restrittive sull’etichettatura, che obbligano a indicare l’origine anche per mieli miscelati. Non succede la stessa cosa all’estero. In molti Paesi europei, il miele cinese viene unito ad altri senza l’obbligo di evidenziarlo, affidandosi alla generica dicitura “Miscela di mieli originari e non originari dell’Unione Europea”. L’attenzione crescente verso i prodotti è fondamentale perché aiuta a comprendere cosa si sta mangiando. E i nostri connazionali tendono a evitare l’acquisto di miele cinese se lo sanno».

Diventa allora necessario informare i consumatori tanto sui benefici per la salute (note sono le sue azioni antibatteriche e antinfiammatorie) e sulle proprietà di questo prezioso alimento (ricco di vitamina C e B, nonché di minerali e antiossidanti), quanto sul riconoscere un prodotto non alterato. «Una strada fondamentale è quella, come fanno tanti consumatori, di affidarsi ad apicoltori di fiducia. In questo modo ci si assicura qualità e sicurezza, ma si sostiene anche direttamente chi lavora con le api» spiega Francesco Ambrogini, appassionato apicoltore toscano e membro attivo dell’associazione di categoria ToscanaMiele. «Purtroppo il settore da anni è in difficoltà. Dal 2010 la produzione è in calo, i prezzi di mercato sono bassi e spesso inferiori ai costi. In questo modo, con un raccolto sempre più ridotto a causa della siccità e dell’aumento delle temperature che spesso causano fioriture irregolari, non si riesce più a vivere di apicoltura. Eppure il miele italiano però ha una qualità che tutto il mondo ci invidia, e dovrebbe essere più tutelato».

Anche per questo è fondamentale l’Albo nazionale degli Esperti in analisi sensoriale del miele, un registro ufficiale che raccoglie i professionisti qualificati del settore. «È nato» riflette Piana, che ne è una delle fondatrici «per formare assaggiatori esperti. Con la grande varietà del miele italiano è necessario avere gli strumenti per saperlo apprezzare e valorizzare. Da noi il miele ha infatti una tradizione lunghissima, veniva usato fin dagli antichi romani per dolcificare, ma adesso questa abitudine si è persa».