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Ancora nuovi impianti per lo sci-turismo a bassa quota: dire no non è un capriccio

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L’insensatezza sembra proprio ripetersi uguale a se stessa, come su una copia carbone: costruire nuovi impianti per lo sci-turismo a bassa quota – dunque senza alcuna prospettiva di vita – con ampio uso di fondi pubblici. Ora è il caso di Colere e Lizzola, due località nelle Alpi Orobiche, in provincia di Bergamo. Ma la questione in questo caso è, se possibile, ancora più eclatante. Qui, oltre alla costruzione di quattro impianti di risalita, il progetto prevede una galleria lunga la bellezza di oltre 450 metri che andrà a collegare le due località, attualmente separate dal Pizzo di Petto. Il tutto a quote risibili: da mille metri a poco più di duemila. Nella lista della spesa ci sono poi gli impianti per l’innevamento programmato, il bacino artificiale, gli sbancamenti. Un enorme cantiere dai costi vertiginosi che, come dicevo, saranno sostenuti in prevalenza dalla mano pubblica: 70 milioni di euro totali, di cui 50 dalla Regione Lombardia e 20 dai privati. I sindaci di Colere e Valbondione sperano nel via libera della Regione Lombardia e sognano che la chiusura dei cantieri avvenga per il dicembre 2026.

Oggi, a fronte del successo dei grandi comprensori sovracomunali che sorgono a quote elevate e sono dotati di gradi capacità patrimoniali come il Dolomiti SuperSki, il Monterosa Ski, la Via Lattea, molte piccole stazione a bassa quota vengono chiuse, o tenute in vita con soldi pubblici seguendo le logiche di un disperato quanto miope accanimento terapeutico. Nell’inverno 2024-‘25 erano 177 gli impianti chiusi, con una crescita di 39 unità rispetto alla stagione precedente (dato Legambiente).

Il problema, ormai tutti lo sanno, è destinato ad aggravarsi. Parla chiaro il parametro introdotto dai nivologi austriaci chiamato “quota neve affidabile”, vale a dire il livello altimetrico sopra il quale la copertura nevosa non scende sotto i trenta centimetri per almeno cento giorni consecutivi. Dai 1750 metri dei decenni scorsi si è passati agli oltre 2000 di oggi. Non è solo importante che nevichi (che sia dal cielo o dai cannoni), ma che poi la stessa neve non fonda nel giro di poco. Anche a gennaio si assiste a una fusione accelerata del manto nevoso. Da qui, la necessità di grandi disponibilità d’acqua da sfruttare nelle rare giornate abbastanza fredde per produrre neve. Allora ecco il potenziamento degli impianti per la neve programmata, con bacini di raccolta ingranditi e nuove stazioni di pompaggio.

Non solo, anche i terreni dove corrono le piste vanno livellati accuratamente, senza dossi né depressioni, perché ogni avvallamento va ricoperto e dunque comporta una maggiore quantità di neve. Più il terreno è spianato con le ruspe d’estate, meno neve si spreca d’inverno. Sbancamenti, cemento armato, acciaio, tubature, tutti lasciti spesso non convertibili. Eppure il documento Strategia Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici (Snacc) dice chiaro che si dovrebbero “promuovere misure volte ad adattare l’apertura e la durata della stagione invernale all’effettiva disponibilità di neve”.

Dire no a questi progetti non è un capriccio ideologico da ambientalista (come si vuol far credere), è guardare la realtà.

La foto centrale è di ColereMountain/Facebook

L'articolo Ancora nuovi impianti per lo sci-turismo a bassa quota: dire no non è un capriccio proviene da Il Fatto Quotidiano.