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Si tolse la vita in carcere a Ivrea: citato il ministero della Giustizia come responsabile civile

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IVREA. Piangeva e dichiarava di non sentirsi bene psicologicamente prima di suicidarsi, secondo quanto accertato dalla sostituta procuratrice Valentina Bossi. Il ministero della Giustizia è stato citato come responsabile civile per il caso di suicidio in carcere di Alexando Vito Riccio, avvenuto nel penitenziario di Ivrea. A disporre la citazione il gup Davide Paladino, su richiesta degli avvocati Giuseppe Lopedote e Alessandro Di Matteo che rappresentano la famiglia del detenuto che si è tolto la vita in carcere il 26 settembre 2021.

L’udienza preliminare è stata poi aggiornata al mese di giugno, per permettere al ministero di seguire l’udienza in cui sarà deciso se rinviare o meno a giudizio gli otto imputati, attraverso un avvocato. Nove mesi prima di suicidarsi, il 20 gennaio, il detenuto aveva ucciso la moglie e il figlio di 5 anni, a Carmagnola.

Stavolta a finire sotto la lente della pm Bossi, già titolare della maxi inchiesta sulle guardie penitenziarie in parte ridimensionata dalla Cassazione, è finito il lato medico-psichiatrico-pedagogico e gestionale del carcere. Secondo la magistrata eporediese gli indagati, in sostanza, avrebbero sottovalutato i campanelli d’allarme che hanno portato al suicidio di Riccio. Gli imputati a vario titolo, sono: Alberto Valentini, 57 anni, difeso dagli avvocati Giuseppe Cormaio e Mario Angelo Conti in qualità di direttore del carcere; Giorgio Siri, 67enne di Montanaro, (avvocati Mario Benni ed Enrico Scolari) in qualità di responsabile dell’area pedagodica, Maria Margherita Pezzetti, 53 anni di Bairo, (avvocate Raffaella Enrietti e Francesca Peyron) psicologa, Paola Raitano , 48 anni, (avvocata Rita Puglisi) funzionaria giuridico-pedagogica, Silvia Santià, 37 anni, (avvocato Antonio Mencobello) psichiatra, Elena Carraro, 50 anni, (avvocata Cristina Rey) psichiatra, Cristina Biader Cepidor, 47 anni, (avvocato Danilo Cerrato) psicologa e Mauro Bergamini, 75 anni, (avvocato Pietro D’Ettorre) psichiatra.

L’uomo aveva già tentato di uccidersi subito dopo il duplice omicidio, prima di essere arrestato, bevendo della candeggina e lanciandosi dal secondo piano.

Dopo l’arresto, Riccio venne prima portato nel carcere Lorusso e Cutugno di Torino e poi in quello eporediese, dove aveva chiesto una visita psichiatrica, viste le sue condizioni.

Secondo la procura il 39enne, nonostante il tentato suicidio, non sarebbe stato sorvegliato adeguatamente. Avrebbero quindi ignorato gli allarmi, al punto che la scheda del rischio suicidio del detenuto venne modificata e il livello declassato da alto a medio.

Per i primi due mesi, inoltre, non fu visto da alcuno psicologo, secondo quanto accertato dai magistrati eporediesi. Il primo colloquio sarebbe stato fissato il 14 giugno, nonostante fosse a Ivrea dal 19 aprile.

Nella cartella clinica, il 29 aprile, si scrive che l’uomo viene accompagnato in infermeria «per umore deflesso. Piange». Il 13 maggio, di nuovo, la psicologa scrive che il «detenuto dichiara di non stare bene psicologicamente, pensa alla sua vita di prima» e ancora «si sente perseguitato». E ancora, nonostante la richiesta, gli viene negata una visita psichiatrica.

Dunque dopo le varie annotazioni, aveva già scritto la pm Bossi nella chiusura indagini, che non viene presa alcuna contromisura, né tantomeno quelle previste contro il rischio di suicidio in carcere.

L’uomo in sostanza sarebbe stato abbandonato e avrebbe vissuto sei mesi di gravi sofferenze. Riccio si tolse la vita il 26 settembre 2021 usando i pantaloni della tuta per impiccarsi nel bagno della cella.