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Il libro. Andrea Romano spiega ai “compagni” come sia possibile parlare di patria anche a sinistra

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Va certamente accolto in maniera positiva il tentativo di Andrea Romano, ex parlamentare del Pd, accademico ed esperto di cultura russa, di voler enucleare i paradigmi di un patriottismo affine ai principi e agli ideali del riformismo, sdoganando un’idea che non dovrebbe procurare i fastidi a cui siamo abituati. Patrioti di sinistra (Piemme, 2024) è infatti il titolo di un pamphlet chiamato a suscitare curiosità, non fosse altro che quel sentimento – e non da ora – stia più comodamente e decisamente a destra che da altre parti. Anche legittimamente, se dobbiamo dirla tutta. Succede quando si decide di estromettere alcune frequenze dal proprio campo di riferimento.

Il punto è che – e non soltanto nel recinto italiano – gli elettori stiano dando sempre più spesso prova di preferire quelle forze che sui temi delle identità hanno dimostrato di avere le idee chiare. Lo si è visto nel voto Europeo, in Francia e negli Usa. C’è una domanda di sicurezza globale che necessariamente è destinata a impattare sui temi della comune appartenenza, dell’idem sentire, per trovare risposte. Il mondo è entrato in una spirale di incertezza multilivello, impensabile sino a 25 anni fa. Davanti a tanta precarietà, ci si aggrappa come può alla concretezza.

Predica (meritoria) ai “sordi”

Andrea Romano lo ha capito perfettamente. E sta chiedendo ai suoi di guardare al reale per quello che è: di scendere in un campo dove si gioca e giocherà la battaglia politico-culturale dei prossimi anni e rimettere ordine all’agenda delle priorità. Potrebbe essere una predica ai sordi, va detto subito. Non fosse altro che i partiti di sinistra, storicamente, abbiano fatto di tutto affinché nelle proprie sezioni non si accennasse neanche per sbaglio all’idea di patria. Dal Dopoguerra in poi è andata purtroppo così. E anche da prima, se proprio vogliamo essere pignoli. Certo, ci sono state anche le eccezioni. Il socialista Bettino Craxi ha rappresentato una colomba bianca (quest’anno, a proposito, saranno i 40 dallo slancio d’orgoglio di Sigonella) e non c’è da stupirsi se l’anima più ortodossa della sinistra italiana faccia ancora gli scongiuri sentendo pronunciare il suo nome.

E dire che, rispolverando le pagine sul Risorgimento, si scoprirebbe che due dei quattro padri iconici della patria siano stati di fede progressista: i due Giuseppe, Mazzini e Garibaldi. Ed è appunto alla moglie di quest’ultimo, Anita, che Andrea Romano dedica uno dei quattro ritratti del libro. Per il Fascismo fu un modello di femminilità, mentre il marito rappresentò quell’esempio eroico da elevare a nume tutelare della nazione. Nazione, sì: altra parola che i politici e gli intellettuali progressisti hanno lasciato scivolare a destra senza rimpianti o rimorsi. L’ideale nazionale nasce a sinistra: lo sapeva perfettamente Julius Evola, che non poteva non notare, soffrendone anche fisicamente, il legame filiale con i principî «antitradizionali» della Rivoluzione francese.

Patria per tutti?

Le ragioni del dissidio tra sinistra e patria sono tanti e vengono da lontano e non possono essere ricondotti esclusivamente alla disputa sanguinosa tra Fascismo e Antifascismo: perché sulle barricate della Guerra civile del 1943-45 si sono fronteggiati e uccisi dei patrioti sinceri. Guai a negarlo. Nessuno se la sentirebbe, da destra, a mettere in dubbio i sentimenti e la tempra morale di Sandro Pertini, futuro presidente della Repubblica e icona pop a cui Romano ha dedicato un capitolo entusiasmante. Peccato però che Andrea Romano – e lo dichiara apertamente – non sia affatto interessato a erigere ponti o rintracciare valori bipartisan da condividere, come avviene del resto in quella che viene ritenuta da sempre una democrazia esemplare, la Gran Bretagna.

Romano è semmai convinto della necessità che vi siano due idee distinte di patria, tarate su contenuti differenti se non antitetici tra loro. «Pretendere che siano uguali – scrive – è di per sé sintomo che qualcosa non funziona nella solidità di una democrazia». Chi vi scrive è convinto del contrario, ritenendo che il tempo speso nel tentare di pacificare una nazione ancora divisa andrebbe sempre lodato e incoraggiato. Il rischio, altrimenti, è quello di rimanere impantanati in una polarità che divide e dividerà ancora l’Italia tra patrioti buoni e patrioti cattivi. Con i primi, manco a dirlo, tutti posizionati a sinistra. E gli altri – ancora una volta – tra i dannati della storia.

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