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Ora i brutti ricordi si possono cancellare nel sonno, la rivelazione nel nuovo studio: “Altrimenti rischiano di compromettere le funzioni cognitive e la salute mentale”

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Tra sonno e memoria c’è uno stretto legame. È provato che durante il sonno profondo si consolida la memoria a lungo termine, grazie a uno scambio di messaggi tra l’ippocampo (fondamentale per la memoria episodica e quella motoria) e la corteccia cerebrale. Fissare i ricordi è importante, anche per lo sviluppo cognitivo. Ma non sempre si tratta di cose belle da ricordare: ci sono anche i ricordi traumatici – avversivi, come li definisce la psicologia – ai quali è associata una paura. Per quanto spiacevoli, sono importanti per la sopravvivenza; infatti sia questi ricordi sia quelli gratificanti sono memorizzati meglio rispetto ad altri che sono meno significativi per la sopravvivenza. Ma entrambi lasciano nel cervello tracce che possono emergere e influenzare le nostre percezioni in senso positivo o negativo. Benché indubbiamente utili entro certi limiti, quando sono troppi o troppo forti i ricordi avversivi creano dei problemi. “Possono essere soverchianti quando si intromettono nella consapevolezza mnemonica, compromettono la funzione cognitiva e deteriorano la salute mentale”, sottolineano gli autori dello studio. Controllare tali ricordi non è per niente facile, perché sono ben consolidati e hanno un alto carico emotivo. Allora come intervenire?

Le premesse
Già in passato la ricerca aveva indicato che risvegliare ricordi positivi giova al benessere psicologico, e che la riattivazione della memoria può avvenire durante il sonno. Inoltre, recentemente era stato dimostrato che l’attivazione di memorie positive durante la veglia poteva ridurre i sintomi depressivi. Gli autori hanno considerato tutti questi presupposti, ma anche una soluzione diversa. “Un percorso alternativo, meno studiato può essere indebolire le memorie avversive e addirittura le loro risposte affettive durante il sonno, dato che il sonno influenza l’elaborazione della memoria e delle emozioni”. Hanno quindi introdotto “una procedura di editing della memoria per indebolire i ricordi avversi riattivando nuove memorie più positive durante il sonno”. E la cosa ha funzionato: i ricordi fastidiosi erano diminuiti a vantaggio di “intrusioni involontarie di memorie positive”.

Parole e immagini
Per l’esperimento, condotto a Hong Kong, sono stati selezionati una quarantina di partecipanti adulti, in prevalenza donne; tutti dichiararono di avere cicli regolari di sonno e di veglia. Nessuno aveva problemi psicologici o neurologici passati o presenti e nessuno assumeva farmaci per migliorare l’umore o il sonno. Il test durò cinque giorni, ma due notti consecutive dovevano essere trascorse in laboratorio, dormendo. Erano previsti anche elettrocardiogrammi di giorno e di notte. La prima sera, ai partecipanti furono mostrate 48 parole senza senso, ognuna associata a un’immagine avversiva. La sera successiva metà delle parole venne associata invece con immagini positive. Gli stimoli visuali, tratti da database dedicati, erano di quattro categorie: animali, bambini piccoli, persone e scene.

Dopo aver visualizzato le immagini positive, quelle destinate a creare delle interferenze, i partecipanti andarono a letto. Durante la fase NREM (non-rapid-eye-movement) o non REM, quella di sonno profondo e rigenerante, gli scienziati riattivarono i ricordi positivi. Al risveglio furono loro presentate di nuovo immagini positive e negative. Grazie al supporto di vari test, comprendenti anche dei questionari, fu possibile constatare un indebolimento dei ricordi avversivi e un aumento di quelli positivi. “Un intervento non invasivo durante il sonno può dunque modificare i ricordi avversivi e le risposte affettive”, concludono gli scienziati, auspicando per il futuro un approfondimento dei loro risultati.

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