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Oliviero Toscani e l’amiloidosi diagnosticata due anni fa: la malattia, i sintomi e le terapie

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Ricoverato il 10 gennaio in gravi condizioni all’ospedale di Cecina (PI), il celebre fotografo si trova in rianimazione, probabilmente per un peggioramento dela patologia diagnosticatagli due anni fa, l’amiloidosi. Ma di cosa si tratta? Molto sinteticamente, l’amiloidosi è un gruppo di 40 malattie rare e gravi, per le quali non esiste una cura specifica e che possono portare alla morte in pochi anni. Colpiscono soprattutto gli uomini (70%); in Italia si segnalano 800 casi all’anno.
Tutto parte da certe proteine che assumono una forma anomala e si depositano nell’organismo formando l’amiloide, sostanza difficilmente degradabile che continua ad accumularsi in un punto (“amiloidosi localizzata”), ma più spesso in uno o più organi: da qui le amiloidosi sistemiche, le forme più gravi, che possono interessare cuore, cervello, milza, reni, fegato ecc. Il progressivo accumulo ostacola in parte o del tutto il funzionamento dell’organo, e se si tratta di organi vitali come il cuore la morte può sopraggiungere in un paio di anni. Due le forme più comuni di amiloidosi sistemica: da catene leggere e da transtiretina (o prealbumina, una proteina sintetizzata dal fegato). “La transtiretina è una proteina che ha la funzione fisiologica di trasportare la vitamina A e la tiroxina (l’ormone tiroideo) a tutti i tessuti. Esistono due forme di amiloidosi correlata a questa proteina: quella ereditaria, geneticamente determinata, e quella causata da transtiretina wild type (la più diffusa, quella che ha colpito appunto Oliviero Toscani)”, spiega L’Osservatorio delle Malattie Rare (OMAR).

Ma perché ci si ammala?
La causa dipende dalla forma della malattia, che può essere primaria, familiare o secondaria. All’origine di quella primaria potrebbe esserci un’infiammazione cronica o la possibile mutazione di un gene. Il sito OMAR spiega per esempio che “l’amiloidosi AA (amiloidosi infiammatoria o secondaria) è causata da un’infezione di lunga durata o da una malattia infiammatoria (ad esempio artrite reumatoide, osteomielite o febbre mediterranea familiare)”, mentre quella da transtiretina “è dovuta ad un dannoso accumulo organico della proteina transtiretina (TTR)”. Quanto all’amiloide da catene leggere, ha maggiori probabilità di soffrirne chi è già affetto da mieloma multiplo o da certe patologie del midollo.

I sintomi e la diagnosi (spesso tardiva)
A seconda del tipo, la malattia può presentarsi con segnali diversi. Per esempio se viene attaccato il rene, come capita spesso, ci sono i sintomi tipici dell’insufficienza renale – ritenzione idrica, perdita di appetito e stanchezza. Nel caso del cuore ci può essere ingrossamento dell’organo, fiato corto ed edema. Altri sintomi delle varie forme sono estrema debolezza e stanchezza, dimagrimento, vertigini, macchie di sangue sulla pelle, intorpidimento alle dita, gonfiore di addome o gambe, ingrossamento della lingua, aritmia, angina. La variabilità dei sintomi, tipici anche di altre malattie, e la rarità della patologia contribuiscono a diagnosi tardive, quando i danni sono già rilevanti. “Abbiamo sempre più strategie terapeutiche”, spiega sul sito OMAR il prof. Michele Emdin, docente alla Sant’Anna di Pisa – il cardiologo che ha diagnosticato la patologia a Toscani. Purtroppo “la malattia è sottodiagnosticata: molti pazienti arrivano drammaticamente alla diagnosi dopo due o tre ricoveri ospedalieri e dopo numerose visite specialistiche, e questo fatto, ovviamente, ritarda anche la terapia”. Per la diagnosi, lo specialista richiede analisi del sangue e delle urine, per capire se ci sono accumuli di proteine anomale, e valuta la funzionalità degli organi. Ci sono poi moltissimi strumenti, come Tac, Pet, scintigrafia, ecocardiogrammi. Il medico può anche effettuare una biopsia, prelevando un pezzo di tessuto dal midollo o da un organo per esaminarlo.

Le terapie
Rispetto al passato, quando c’erano poche terapie efficaci e chi soffriva di amiloidosi da catene leggere poteva vivere solo qualche mese, oggi la disponibilità è maggiore, ma molto dipende da età, condizioni di salute, entità dei depositi e reazione alle cure. La terapia varia a seconda del tipo di amiloidosi e punta a rallentare la progressione della malattia e a evitare che i depositi continuino ad accumularsi. Soprattutto se la diagnosi è arrivata tardi, è importante anche cercare di ridurre gli accumuli già presenti: attualmente si punta sugli anticorpi monoclonali, in particolare due tipi in fase di sviluppo clinico da parte del gruppo del prof. Emdin. Le opzioni terapeutiche per l’amiloidosi da catene leggere si basano sulla chemioterapia, visto che all’origine ci sono un mieloma o una neoplasia del midollo osseo, in aggiunta agli anticorpi monoclonali e, se le condizioni lo permettono, all’autotrapianto di cellule staminali o al trapianto di midollo. Quanto all’amiloidosi da transtiretina, quella di cui soffre il fotografo, il cardiologo spiega: “Il farmaco che viene utilizzato attualmente è il tafamidis, uno stabilizzatore del tetramero. La transtiretina è una proteina tetramerica, cioè con quattro parti, che nelle forme di amiloidosi è malata e va incontro a una destabilizzazione e a una degradazione”. Si usano pure altri farmaci, come quelli detti siRNA (small interfering RNA) o gli ASO (oligonucleotidi antisenso), che agiscono su un gene. “Un’altra possibile strategia è quella di agire a monte con l’editing genomico”, scrive il sito OMAR.
L‘approccio è sempre molteplice perché le conseguenze della malattia possono essere svariate. Nel caso di neuropatie amiloidi si cerca di evitare l’accumulo anomalo nei nervi periferici e parallelamente di agire sul dolore conseguente con antiepilettici, antidepressivi o analgesici. Lo scompenso cardiaco indotto dall’amiloidosi, da curare per esempio con beta-bloccanti.

L'articolo Oliviero Toscani e l’amiloidosi diagnosticata due anni fa: la malattia, i sintomi e le terapie proviene da Il Fatto Quotidiano.