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Mercosur, chi paga il conto di Ursula Von Der Leyen

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L’accordo siglato tra Bruxelles e i Paesi latinoamericani danneggerà la nostra agricoltura, che già sconta posizioni di inferiorità in una competizione globale spesso scorretta. Eppure Ursula von der Leyen parla di «occasione storica» per l’Europa. Una mossa che cerca di mitigare gli errori su auto e Green deal. Ma non migliorerà la vita dei consumatori del Vecchio continente.


Hanno messo in moto ancora una volta i trattori per marciare di nuovo su Bruxelles. Arriveranno da Francia, Germania, Spagna, Italia: sono gli agricoltori contro il Mercosur che Ursula von der Leyen ha raccontato come uno straordinario successo politico-commerciale. In Europa invece sta diventando, anche per molti governi, un imbarazzante affare di Stato. L’accordo dopo «oltre venti anni di trattative» sostiene la baronessa «costruisce un’area di libero scambio che interessa oltre 720 milioni di consumatori, per le aziende europee è un’occasione storica». Ciò che ha indotto la Von der Leyen ad accelerare i tempi dell’intesa è riconducibile a due fattori: la crisi dell’auto, peraltro conseguenza di scelte draconiane operate dalla Commissione stessa sul blocco ai motori endotermici, e il timore dei dazi da parte del nuovo presidente americano Donald Trump. Perciò l’Unione va alla ricerca di nuovi mercati.

Il Mercosur provoca a Strasburgo anche degli strappi tra i partiti: se i Popolari lo difendono, i Verdi lo bocciano, i socialisti vanno in ordine sparso e la «maggioranza Ursula» vacilla. Un esempio? All’interno del Partito democratico Brando Benifei, capogruppo in Europa del partito di Elly Schlein, parla di «accordo storico», ma l’ex sindaco di Firenze Dario Nardella, che a Strasburgo è membro della commissione Agricoltura, lo boccia, mentre il senatore democratico Fabio Porta, per il Pd segue gli affari sudamericani, sostiene che «è un accordo “win-win”: l’Italia ne sia entusiasta». Peccato che - a parere degli agricoltori, ma non solo loro - apra nel Vecchio continente alcune contraddizioni difficilmente spiegabili. La prima è che la presidente della Commissione parla appunto di «un mercato di 720 milioni di consumatori», ma il potere di acquisto in questa platea non è omogeneo: sarà di più ciò che ci venderanno i latinoamericani di quello che compreranno.

Infatti nei Paesi fondatori del Mercosur - Argentina, Brasile, Paraguay, Uruguay -, il reddito medio annuo oscilla dai 10 mila dollari dei brasiliani, in uno Stato che conta 216 milioni di abitanti, ai 22.500 dollari dei 3,4 milioni di uruguaiani. Gli argentini sono meno di 47 milioni e dispongono di 13.700 dollari all’anno pro capite, mentre i paraguaiani che sono poco più 6,8 milioni non vanno oltre un reddito medio di 6.500 dollari. Per non parlare dei 28,9 milioni di venezuelani (lo Stato è membro del «Mercato comune del Sud», ma attualmente è sospeso), che non arrivano ai 2.800 dollari l’anno.
Al contrario, per i 450 milioni di europei il reddito medio tocca 39.850 dollari. La speranza di Ursula von der Leyen è quella di vendere in quell’area del mondo automobili, tecnologia e servizi finanziari sperando così di attutire l’urto che potrebbe arrivare dal blocco trumpiano. Non c’è però alcuna garanzia che i produttori europei, dato il minor costo del lavoro, spostino le fabbriche in Sudamerica: del resto negli anni Settanta la Fiat - che in Brasile produceva la «146» alimentata ad alcol - possedeva lì il suo più grande stabilimento al mondo.

Tra i governi più felici del pasticciaccio brutto di Montevideo - nella capitale dell’Uruguay il 6 dicembre è stata firmata l’intesa - ci sono quello tedesco e quello spagnolo. Ma tanto Olaf Scholz - ormai sulla via del tramonto come cancelliere federale - quanto Pedro Sánchez - primo ministro spagnolo eternamente in bilico - si sono trovati i contadini schierati contro di loro.
Tre settimane fa a Madrid gli agricoltori hanno preso d’assedio con i trattori i palazzi del governo e a guidarli c’era Jorge Buxadé, portavoce di Vox, che parla di accordo iniquo così come gli agricoltori della Sassonia strizzano l’occhio all’AfD. E proprio i tedeschi, insieme con i francesi, hanno inscenato la prima clamorosa protesta a Strasburgo il 19 dicembre. Davanti al Parlamento Ue hanno esposto striscioni con scritto: «Non avvelenerete i nostri figli con i vostri prodotti importati» e ancora «Mehr Freiheit, Weniger Brüssel» («Più libertà, meno Bruxelles»), «Stoppt Mercosur» («Fermate il Mercosur»).
Uno dei portavoce della protesta, Paul Fritsch, già presidente della Coordination rurale du Bas-Rhin, denunciava: «La concorrenza di Paesi che non hanno i nostri stessi standard è inaccettabile. Standard sociali, soprattutto salari e oneri sociali, ma anche normative sanitarie, livelli ambientali e prodotti fitosanitari impiegati». Questo è il vero punto caldo dell’accordo Mercosur che il presidente francese Emmanuel Macron - trovando un’unanimità inusitata di questi tempi a Parigi - definisce «inaccettabile» e che sta per far affluire di nuovo migliaia di agricoltori decisi a prendere d’assedio, come già lo scorso anno, Palazzo Berlaymont che è sede della Commissione europea a Bruxelles.

L’appuntamento se lo sono dato subito dopo l’Epifania, ma la sensazione è che questi focolai (ci sono mobilitazioni tra gli allevatori dei Paesi Bassi e in Polonia) siano soltanto l’inizio. L’accordo con il Sudamerica, peraltro, inquieta anche i sostenitori del Green deal senza se e senza ma. Carola Rakete, la capitana disobbediente della Sea Watch, ora eurodeputata della sinistra verde alla testa di un gruppo di contestatori, ha affermato: «I vincitori per un accordo di questo tipo sono i grandi produttori, mentre i perdenti sono i piccoli agricoltori. L’accordo Ue-Mercosur va contro la nostra visione di un’agricoltura biologica, locale, sostenibile». In ogni caso, contro l’intesa con i Paesi latinoamericani è schierata tutta la galassia ambientalista: da Greenpeace a Fair Watch con Slow Food in Italia particolarmente critica perché, sostiene Sergio Capaldo, presidente del consorzio di allevatori La Granda, «in Brasile si continuano a somministrare agli animali sostanze che alle nostre latitudini sono da tempo proibite».
La mancanza di reciproche «clausole specchio» ha fatto mobilitare Coldiretti in Italia. Sostiene Vincenzo Gesmundo segretario generale dell’associazione: «L’accordo sul Mercosur danneggia i piccoli agricoltori sia in Europa sia in Sudamerica. È inaccettabile parlare di compensazioni davanti alla chiusura delle aziende e ai pericoli per la salute dei cittadini. All’Europa vogliamo ricordare che contro i cittadini non si governa». Questo perché Ursula von der Leyen e i Popolari (ma Antonio Tajani è perfettamente allineato sulle posizioni del governo italiano per un no secco all’accordo così com’è) pur di difendere l’intesa parlano di incentivi agli agricoltori del Vecchio Continente che dovessero ricevere danni dall’accordo. «Divide et impera», si sarebbe detto una volta.
La Commissione, per esempio, sulla carne bovina sostiene che dal Brasile - primo produttore al mondo - entrerà solo l’1,6 per cento di prodotti rispetto alla produzione europea. La Von der Leyen, che insiste su un vantaggio di quattro miliardi di euro per l’abbattimento delle barriere doganali, sa che sta barattando l’auto contro l’agricoltura. Ecco che i settori più colpiti dal trattato sono la zootecnia, la risicoltura, i semi oleosi.

Il ministro per la Sovranità alimentare Francesco Lollobrigida è deciso: «Non sacrificheremo la nostra agricoltura per favorire altre produzioni, il Mercosur va cambiato: così è inaccettabile tanto più che l’Italia va verso i cento miliardi di euro di esportazione di prodotti agroalimentari». Anche Slow Food, che ha aderito all’appello Stop Eu-Mercosur now con altre 400 associazioni, ha fatto i propri conti: «Con l’accordo entreranno 99 mila tonnellate di carne con dazi doganali del 7,5 per cento». Gli Stati sudamericani esportano già 2,3 milioni di tonnellate di riso - l’Italia ha il primato produttivo e di export in Europa - e come sostiene il presidente di Coldiretti Ettore Prandini: «Si rischia un’invasione del mercato con prodotti che non hanno i nostri standard: già stanno arrivando 65 mila tonnellate di riso».
Luigi Scordamaglia, amministratore delegato di Filiera Italia, cita uno studio specifico: «Nell’America del Sud vengono impiegati antibiotici per l’accrescimento rapido del bestiame, vietatissimi in Europa. La resistenza a questo tipo di sostanze, da qui ai prossimi anni, provocherà oltre 40 milioni di decessi. Noi abbiamo diminuito i pesticidi del 38 per cento, nel Mercosur sono aumentati del 600 per cento. Il Brasile - è il primo esportatore agricolo già oggi verso l’Europa con oltre 11 miliardi di euro - utilizza il 30 per cento di pesticidi vietati da noi. L’accordo non pone alcuna clausola di reciprocità e i controlli ci preoccupano. La normativa europea prevede solo il 3 per cento di verifiche sui carichi. Siccome il 99 per cento della merce passa per Rotterdam (l’Olanda che lucra su intermediazioni e servizi portuali è entusiasta del patto: da Rotterdam si ritiene abbia avuto accesso il batterio della xylella che ha distrutto gli ulivi pugliesi, ndr), dove i controlli non si fanno. Quindi non abbiamo alcuna garanzia. Il rapporto di prodotti insalubri tra ciò che viene importato e ciò che si produce in Italia è di 300 a uno e infine non è prevista alcuna sanzione per il lavoro minorile che in Sudamerica è ampiamente praticato. Con il Mercosur subiamo rischi sanitari per i cittadini e concorrenza sleale per le imprese».
I prossimi mesi invernali saranno di sicuro caldissimi per l’agricoltura.