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La Cei: “Ok agli omosessuali nei seminari ma devono essere disposti a restare celibi e casti”

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Per essere ammessi in seminario bisogna esser disposti a restare celibi e casti. Vale anche per gli omosessuali, che dunque potranno intraprendere il percorso per diventare preti se non “praticano” la loro sessualità. E’ quanto previsto nelle nuove linee guida della Cei per l’ammissione. “Nel processo formativo, quando si fa riferimento a tendenze omosessuali” è “opportuno non ridurre il discernimento solo a tale aspetto”. Ma il futuro prete deve dimostrare “di scegliere liberamente e vivere responsabilmente la castità nel celibato”. Si ribadisce invece che “la Chiesa, pur rispettando profondamente le persone in questione, non può ammettere al seminario e agli ordini sacri coloro che praticano l’omosessualità”. Chissà cosa ne pensa Papa Francesco, che più di una volta utilizzando termini discutibili ha detto che nei seminari c’è troppa “frociaggine“.

Il lungo documento dei vescovi italiani, 89 pagine, dal titolo “La formazione dei presbiteri nelle chiese in Italia. Orientamenti e norme per i seminari“, è entrato in vigore ad experimentum per tre anni. La questione dell’omosessualità nei seminari era emersa nell’incontro a porte chiuse tra i vescovi italiani e il Papa, a maggio dello scorso anno, nel quale Francesco disse appunto che nei seminari c’è troppa “frociaggine”.

La necessità di rivedere alcune regole per l’ammissione al sacerdozio era nata anche a seguito dello scandalo degli abusi. “Massima attenzione dovrà essere prestata – avvertono al proposito i vescovi italiani – al tema della tutela dei minori e degli adulti vulnerabili, vigilando con cura che coloro che chiedono l’ammissione al seminario maggiore non siano incorsi in alcun modo in delitti o situazioni problematiche in questo ambito”. Ci saranno poi professionisti per valutare se i candidati abbiano “una personalità sufficientemente sana“. “Occorre accertarsi, con l’ausilio di un’adeguata valutazione psicodiagnostica, che sia immune da patologie psichiche tali da pregiudicare un fruttuoso cammino seminaristico”. Attenzione particolare è richiesta per le cosiddette vocazioni tardive: occorre “accertare che si tratti di persona di buona reputazione, raccogliere testimonianze attendibili che ne sostengano la candidatura, verificare la sufficiente preparazione culturale di base, ascoltare la comunità di origine”.

I social non sono banditi ma i seminaristi devono essere “accompagnati a maturare la capacità di abitare tale ambiente con consapevolezza e sapienza, riconoscendone le opportunità e i rischi”. Nei seminari dedicati agli adolescenti occorre poi poter contare su una equipe educativa dove “non manchi il supporto di uno o più esperti nelle scienze pedagogiche e psicologiche”. Spazio, nella formazione dei nuovi preti, anche ai laici e alle donne. Il seminario si apre poi a una formazione a tutto campo: non solo teologia ma anche letteratura (quest’ultima indicata esplicitamente dal Papa in un recente documento) e lingue classiche.

Tutti i candidati al sacerdozio devono mostrare una maturità che passa anche per “una cura adeguata della persona, attenta alla pulizia e alla proprietà e sobrietà nel vestire”. Nelle linee guida c’è anche una parte dedicata al rapporto con i soldi: “Siano educati – si legge – a vivere in maniera essenziale, austera, condividendo i propri beni con i poveri, e a maturare quel senso di responsabilità che si traduce in uno stile sobrio e dignitoso”.

L'articolo La Cei: “Ok agli omosessuali nei seminari ma devono essere disposti a restare celibi e casti” proviene da Il Fatto Quotidiano.