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“Più Italia in Europa” nel 2025: i quattro dossier strategici su cui Roma sta dettando la linea

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Tre dossier ampiamente instradati e un quarto su cui si sta lavorando per arrivare a una svolta quanto mai urgente. Il 2025 in Europa si apre con l’attesa di un ritorno a una visione strategica che, dopo essere aver riconquistato centralità nei dibattiti, si trasformi in misure concrete su temi cruciali per il futuro dell’Unione: i dossier sono migranti, automotive, agricoltura e difesa. Sullo sfondo di questa aspettativa ci sono i nuovi equilibri politici, frutto delle ultime elezioni europee e della perdita di terreno anche a livello nazionale dei governi di impostazione socialista, ma c’è anche molta Italia: si tratta di questioni su cui il governo da subito è andato in pressing, riuscendo via via a conquistare un ruolo di leadership tra gli Stati membri e ad aggregare intorno alle proprie proposte alleanze inedite in grado di modificare gli orientamenti comunitari. «Forti degli equilibri mutati, puntiamo a cambiare rotta», ha detto al Secolo il capodelegazione di FdI al Parlamento europeo, Carlo Fidanza.

Il dossier migranti e l’accelerazione impressa dalle politiche italiane

Per quanto riguarda il tema dei migranti il focus si è già spostato da tempo dalla redistribuzione interna alla protezione dei confini esterni. Si tratta della questione su cui probabilmente l’azione italiana è stata più evidente a livello di opinione pubblica. Lo è diventata ancora di più dopo l’esplosione del “caso Albania”, finito al centro di un dibattito da cui è uscito come una delle «soluzioni innovative» cui in Europa si guarda con maggiore interesse (e con buona pace dell’opposizione nostrana).

Per paradosso, il tentativo interno di bloccare l’applicazione del protocollo si è trasformato in una accelerazione europea che potrebbe aprire la strada alla replica da parte degli altri Stati membri e all’adozione come modello comunitario. Se da un lato, infatti, è atteso il pronunciamento della Corte europea sui ricorsi italiani in base all’attuale normativa, la presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha già annunciato che si sta lavorando per modificare la normativa e anticipare a giugno di quest’anno la revisione del concetto di Paese sicuro, che era attesa per il 2026 nell’ambito del nuovo Patto sulla migrazione e l’asilo. La questione è stata al centro anche della lettera inviata da von der Leyen al Consiglio europeo prima dell’ultimo summit, nella quale la presidente ha anche fatto esplicito riferimento al drastico abbattimento degli arrivi dalla rotta del Mediterraneo centrale ottenuti grazie al protocollo con la Tunisia, di fatto reso operativo grazie all’impegno dell’Italia.

Il gioco di sponda a difesa dell’automotive

Sul dossier automotive novità in Europa sono attese già per questo primo mese del 2025. A gennaio a Strasburgo si discuteranno le risoluzioni per il ritiro delle multe per chi non riuscirà a raggiungere i target di vendita dell’elettrico, per l’anticipo della clausola di revisione sullo stop a benzina e diesel fissato per il 2035, anch’essa inizialmente attesa per giugno 2026, e sulla neutralità tecnologica. I Conservatori e il Ppe, il gruppo più numeroso in seno all’europarlamento, hanno già preparato testi che vanno in questa direzione. Ci si attende che le due risoluzioni procedano parallelamente, ma non si esclude del tutto neanche la possibilità che si arrivi a un unico testo. In entrambi gli scenari, considerata anche l’importanza del dossier, vi sarebbe una evidente ricaduta politica rispetto a quei mutati equilibri cui faceva riferimento Fidanza e che tanta fibrillazione hanno già provocato nella sinistra europea.

Anche su questo terreno il governo italiano ha avuto un ruolo strategico: l’azione politica a difesa del settore si è trasformata in un non-paper redatto insieme alla Repubblica Ceca e presentato alla Commissione, che ha ottenuto il sostegno di 15 Paesi e di numerose associazioni industriali. A questo lavoro a livello di Consiglio, che ha saputo coinvolgere anche i settori produttivi, si è poi aggiunto quello a livello parlamentare, con un gioco di sponda che ha già suscitato segnali da parte della Commissione: il commissario Ue ai Trasporti Apostolos Tzitzikostas, popolare di impostazione conservatrice, ha confermato al ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, la sua piena disponibilità a dialogare sul tema con i governi e con le parti industriali. I due si incontreranno di nuovo proprio a margine della plenaria di Strasburgo di gennaio. L’autolesionista ideologia green che ha messo a rischio l’intera industria dell’automotive europea non ha già più la potenza del moloch.

Verso una nuova Politica agricola comune

Anche per il settore dell’agricoltura si va verso la dismissione dell’approccio ideologico e anti produttivista che ha caratterizzato le politiche Ue per anni. Il 19 febbraio il nuovo commissario, il popolare Christophe Hansen, presenterà il piano per i 100 giorni, che rappresenta la sintesi della visione strategica per la legislatura. In quella sede si capirà cosa ne sarà della Politica agricola comune. La riforma della Pac formalmente riguarda il settennato che si apre nel 2027, ma di fatto è già in moto, a partire dalla sospensione del meccanismo nefasto dei sussidi condizionati alla messa a riposo delle colture, cioè destinati a chi smetteva di produrre. Quel sistema è stato bloccato con una norma transitoria scaduta con la fine del 2024, ma che ci si aspetta che venga rinnovata. Anche su questo tema l’Italia ha fatto da capofila: il ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, è stato il primo a chiedere un cambio di passo in grado di far recuperare all’Ue la consapevolezza e il controllo su temi come la sovranità e la sicurezza alimentare, la competitività, una difesa dell’ambiente che finalmente torni a riconoscere il ruolo di custodia esercitato dal lavoro dell’uomo.

Il pressing sulle spese per la Difesa

Infine, il dossier difesa, con lo scorporo delle spese dal Patto di stabilità e l’ipotesi di emissioni di eurobond dedicati. Qui le trattive sono più indietro, ma si vanno intensificando, ancora una volta sotto il pressing italiano. Per ora la Commissione ha mantenuto un atteggiamento di chiusura, ma la necessità strategica e l’urgenza di maggiori investimenti nella difesa, anche nell’ottica degli impegni Nato, è sotto gli occhi di tutti e la linea italiana per cui le spese non possono essere scaricate sulle spalle dei cittadini degli Stati membri sta prendendo sempre più piede. Il tema sarà oggetto del Consiglio europeo straordinario di febbraio. Sul dossier lavorano direttamente sia il ministro della Difesa, Guido Crosetto, sia il premier, Giorgia Meloni. Molti osservatori giudicano la strada in salita, ma in questa scalata l’Italia ha già trovato compagni di viaggio, con le aperture di Paesi come Svezia, Finlandia e Grecia. E, del resto, fino a poco tempo fa, anche l’obiettivo di un cambio di passo su migranti, green deal e Pac sembrava difficilissimo, se non impossibile. Oggi invece si guarda al traguardo.

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