Buon anno ai Brics, mentre l’Europa affonda
Il prossimo anno sta per aprirsi nel segno di notevoli sconvolgimenti dello scenario internazionale. La fine del regime di Assad in Siria implica un notevole indebolimento, forse strategico, di quello che era stato denominato Asse della Resistenza. Si prospetta l’ennesima spartizione della sventurata regione medio-orientale tra i due apparenti vincitori, la Turchia più che mai neo-ottomana di Erdogan a Nord e l’Israele nazisionista del genocida Netanyahu a Sud. Improbabile una collisione fra i due, mentre l’Iran si lecca le ferite in attesa di un possibile nuovo scontro frontale con Israele.
Ogni disegno neoegemonico nell’area dovrà tuttavia necessariamente fare i conti con la resistenza dei popoli. Innanzitutto di quello siriano, varie componenti del quale, a cominciare dai Kurdi, ma anche gli Alawiti oggi vittima di una vera e propria campagna di sterminio da parte degli scherani di Al Jolani sponsorizzati dalla Turchia, non appaiono intenzionati a subire il predominio dei fondamentalisti malamente riverniciati a beneficio dell’Occidente. L’importanza dei Kurdi, in particolare, è data dalla loro natura di popolo transnazionale, in grado in quanto tali di operare, seguendo la feconda intuizione del loro leader storico Abdullah Ocalan, per la piena rigenerazione democratica di tutti gli Stati della regione, Turchia compresa, dove deve riprendere al più presto il negoziato di pace con la partecipazione di Ocalan.
Sempre più grave la situazione del popolo palestinese, dove la spietata continuazione dello sterminio in atto si aggiunge a un evidente scontro tra la strategia dei gruppi combattenti islamisti e quella dell’Autorità Nazionale Palestinese. Più che mai quella palestinese si conferma una questione globale che mette in gioco l’umanità di ciascuno di noi e la legittimità dei governi occidentali, compreso quello italiano, che continuano a sostenere il genocidio, macchiandosi del crimine di complicità chiaramente definito dall’art. III, lett. e, della Convenzione del 1948 in materia. Gli stessi governi occidentali, e in primo luogo quelli europei, oramai definitivamente impantanati e destinati alla sconfitta in Ucraina, come spiegato da Fabrizio Casari.
Stupisce davvero la proterva stupidità dei vari Rutte, von der Leyen, Meloni & C., i quali continuano a investire il nostro denaro di contribuenti (sempre meno e sempre più tartassati) per sostenere il regime autoritario e decotto di Zelensky, che continua a deportare violentemente al fronte e far massacrare le giovani generazioni di un Paese immolato sull’altare delle folli ambizioni della Nato e dell’Unione europea ad essa totalmente asservita e che anzi scavalca addirittura a destra gli Stati Uniti nell’insensata e autodistruttiva bramosia di guerra, mentre c’è chi si specula sulla paura del conflitto nucleare, vendendo a caro prezzo kit antibomba pubblicizzati sul più diffuso quotidiano nazionale.
Stupisce anche la circostanza che l’immensa maggioranza dei cittadini europei, con l’eccezione forse degli staterelli baltici, sia contro questa guerra ma che ciò nonostante non riesca ad imporre la sua volontà alle oligarchie europee abbondantemente foraggiate dalle lobby di ogni genere, comprese ovviamente quelle che rappresentano l’industria degli armamenti, soprattutto statunitense, ma anche europea e italiana in particolare (vedi la cordiale convivenza tra destre e Pd ai vertici di Leonardo, epicentro e motore del complesso militare-industriale nostrano).
Ciò indica l’esistenza di un enorme problema per la democrazia in Europa, ridotta a pura finzione, come dimostrato anche dalle crisi permanenti nei Paesi chiave come Francia e Germania, dai crescenti tassi di astensionismo elettorale, dall’emergere di una destra antisistema con evidenti connotati fascisti, dall’inaccettabile invalidazione del risultato elettorale rumeno e dal rafforzarsi di tendenze autoritarie alla repressione del dissenso, dalla crescente militarizzazione della società nel segno di una bovina obbedienza atlantista ultimamente trascesa in una furia antirussa senza precedenti.
L’Europa si trova quindi in uno stato di crisi terminale del suo fallimentare modello politico, sociale e culturale, che è determinata in buona misura dal fatto che sul piano globale è in fase di liquidazione il sistema prima eurocentrico e poi occidentocentrico che regge malamente le sorti del pianeta da almeno cinque secoli, mentre vengono progressivamente liquidati gli Imperi coloniali e neocoloniali sui quali l’Europa ha edificato i suoi privilegi ormai obsoleti.
Qualche barlume di speranza ci è offerto dal parallelo emergere dei Brics, la nuova alleanza molto plurale ed articolata di Paesi contrari al predominio occidentale, che hanno svolto di recente un’importante riunione programmatica a Kazan in Russia e si avviano ad estendere ulteriormente la propria compagine a nove nuovi membri tra i quali Cuba e Bolivia, con l’auspicio che presto possa aggiungersi anche il Venezuela superando l’incomprensibile e sbagliatissimo veto brasiliano.
Ovviamente i Brics dovranno assumere, come già in parte stanno facendo, posizioni avanzate e all’altezza delle sfide in essere su tutti i problemi più attuali e scottanti, dall’indispensabile e urgente riforma del sistema delle Nazioni Unite, alla questione ambientale e in particolare climatica, che è ovviamente di importanza capitale per la sopravvivenza dell’umanità, sulla quale la Cina, in virtù degli importanti traguardi che sta raggiungendo in materia di decarbonizzazione, ha le carte in regola, come osservato recentemente dallo storico britannico Adam Tooze, per assumere una posizione di leadership, a condizione di avviare un fruttifero confronto col movimento ambientalista globale.
Appare davvero necessario e urgente che, anche nel nostro disastrato Paese, si avvii una primavera democratica che consenta l’emersione di una nuova classe dirigente che consenta un’interlocuzione costruttiva e indipendente con la nuova realtà mondiale.
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