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La Cultura? È il “Manifesto dell’Italia eterna”: energia per una Nazione che vuol essere consapevole

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S’è c’è una Nazione al mondo che può essere considerata come un’esposizione vivente questa è l’Italia. Dalla magnificenza del Colosseo ai templi della Magna Grecia, dalle cupole affrescate di Firenze ai grandi musei italiani, dai giardini rinascimentali alla rivoluzionaria arte dei futuristi, l’Italia manifesta una dimensione assoluta, che è quella della Cultura: un ambito che, purtroppo, in passato è stato più volte considerato come una sorta di reliquiario per turisti mordi e fuggi e che, invece, è un gigantesco cuore pulsante che tiene insieme radici profonde e visioni avveniristiche.

I cinquant’anni del Ministero della Cultura, nato nel 1974 per volontà di un intellettuale come Giovanni Spadolini (con la dicitura Ministero per i Beni culturali e ambientali), ci danno l’occasione di ribadire come la tutela, la conservazione e la fruizione del patrimonio culturale italiano siano di assoluta attualità, non soltanto per custodire e non disperdere i beni culturali, ma per costruire su di essi una visione di futuro. Sì, perché è tempo che la cultura, che esprime il genio italiano, divenga parte della vita quotidiana di tutti, non potendovi essere alcun confine fra la cultura e l’identità di un popolo e di una Nazione.

Fare di ogni frammento un grande “disegno” di bellezza

Per fare questo, però, dobbiamo osare, prendere coscienza e avere il coraggio e la forza di affermare ciò che siamo con un grande progetto nazionale, affinché si passi dall’ovvietà – ripetuta più volte a mo’ di slogan – secondo cui l’Italia possiede la maggior parte del patrimonio culturale del mondo, a un’azione che unisca ogni frammento di questa bellezza in un grande disegno, al contempo, culturale, economico e sociale. Per questo, oggi si può e si deve parlare di un Manifesto dell’Italia eterna, che non sia, si badi bene, un revival patriottardo di stampo ottocentesco o novecentesco, né l’occasione per fare sfoggio di una galleria di opere imbalsamate, ma la possibilità di far circolare un’energia dirompente (a proposito di Futurismo), antica e contemporanea, celata tra colonne, ville, giardini e opere d’arte, che divenga “marchio di fabbrica” dell’Italia e la rappresenti compiutamente. Stiamo parlando dell’energia della cultura, che mette insieme la storia e le sue varie epoche con l’essenza italiana, che è fantasia, intuizione, apertura e spiritualità.

Non rovine ma fondamenta

Guardate i templi di Paestum, le loro colonne doriche: non sono “rovine”, ma fondamenta del nostro essere. Oppure Pompei, dove ogni pittura, ogni casa, ogni nuova scoperta archeologica racconta di noi, di chi eravamo e di chi possiamo essere, se aprissimo gli occhi e ci riconoscessimo. O la magnificenza della Valle dei Templi, con la “via sacra” incastonata nella campagna siciliana o ancora Selinunte, dove i rocchi di colonne sospesi fra la terra e il cielo ci parlano di questa energia. Per non parlare del Foro Romano e del Colosseo, che raccontano una storia che non è consumata dal tempo, ma vive nell’assoluta contemporaneità del più visitato parco archeologico al mondo, cuore della Capitale d’Italia. O l’esempio dei teatri antichi, da Segesta a Siracusa, in cui le rappresentazioni, da millenni, sono vita quotidiana e sperimentazione. Luoghi, dove l’antico si manifesta come una ierofania, come una manifestazione del Sacro che irrompe nella nostra realtà per ridestarci al ricordo di chi siamo.

Le ville: il genio che definisce il paesaggio

E ancora, le ville italiane, non semplici residenze, ma manifesti di civiltà, in cui il genio dell’uomo ha definito il paesaggio con grazia e disciplina. Prendiamo Villa del Balbianello sul Lago di Como: arroccata come una visione, con le sue logge spalancate sull’acqua, è una poesia che sfida la gravità. O Villa Barbaro di Maser, in Veneto: ogni stanza è un affresco che respira grazie a Palladio e Veronese che hanno fuso architettura e pittura in un dialogo tra umano e divino. Villa della Regina a Torino, con una simmetria e uno splendore che ne rivela la sontuosità. Ma i giardini, soprattutto, sono il capolavoro assoluto dell’Italia: nel Giardino di Ninfa, a Cisterna di Latina, le vestigia di un passato non remoto fioriscono in un’armonia che sopravvive alla distruzione e conserva la propria anima. A Boboli, a Firenze, la geometria si fa ordine sacro. Al Giardino della Kolymbethra, l’archeologia si fonde col profumo della zagara e l’argento degli ulivi. A Villa d’Este, a Tivoli, l’acqua non scorre, danza: quei giochi idraulici sono un’ode all’ingegno, con una danza di pietra e acqua che rivela l’assoluta bellezza del giardino all’italiana. E che dire di Villa Adriana? Qui l’Imperatore Adriano volle costruire un universo in miniatura, che oggi come ieri è uno specchio di una dimensione creativa assoluta. Tutto in Italia parla di questa energia, la racconta con forme e stili diversi, che si uniscono fra loro nella lingua della Cultura.

I musei come cattedrali della visione

Questo lo si può comprendere anche soffermandosi sui grandi musei: gli Uffizi sono tutt’altro che una collezione d’arte, ma rappresentano una cattedrale della visione, in cui la luce di Giotto, la grazia di Botticelli, la maestà di Michelangelo incarnano l’uomo e lo incastonano nella grandezza divina. Se prendiamo il Museo Archeologico Nazionale di Taranto, qui il passato della Magna Grecia torna a vivere e, tra ori delicati e imponenti statue funerarie, si rivela l’arte dei maestri tarantini, raffinata e vivissima. A Milano, la Pinacoteca di Brera, racconta secoli di storia della pittura, con capolavori che esprimono un’universale bellezza. Attraversando l’Italia, il Museo di Capodimonte a Napoli è una reggia trasformata in scrigno. Le sue sale non offrono solo quadri, ma segmenti di un palazzo della memoria. Mentre i grandi musei contemporanei, come il Museo MART di Rovereto o il MAXXI di Roma, raccolgono le interpretazioni più recenti di una contemporaneità intelligente e mai arrogante, di visioni rivoluzionarie perché veramente libere.

Occorre, dunque, che si resti noi stessi, reinventandoci e tracciando nuovi percorsi, come un fiume che scorre fra secoli di arte e architettura fino al presente. Non per mercificare la cultura, non per svuotarla ma per riscoprire noi stessi. Perché le espressioni culturali e i suoi luoghi altro non sono se non isole di pensiero, di contemplazione e di creazione, che ci ricordano che la bellezza può fondarsi nella pietra, nella luce, nella parola, nella carne e nello spirito.

Una grande narrazione contemporanea ha il compito di custodire quest’anima. Per queste ragioni, parlare oggi di un “manifesto dell’Italia eterna” vuol dire rivolgere un invito: un invito a pensare l’Italia non come un monumento immobile, ma come un essere vivente che sappia nutrire il futuro, riconnettendo i fili dell’archeologia e della tecnologia, della storia e dell’innovazione, o se preferite, del passato e del presente. Perché se è vero che l’Italia è una gigantesca opera d’arte (come spesso sentiamo dire fino allo sfinimento), allora è suo compito ispirare, emozionare e cambiare la storia.

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