Militanza e musica. “Generazione ’78” di Mancinelli: cinquant’anni di lotta come destino
Tutti conoscono Generazione ’78 e la sua melodia dolorosa. La conoscono certamente coloro che – almeno una volta – hanno attraversato la porta di una delle sezioni contrassegnate da una fiamma tricolore ardente. Quelle cioè dell’Msi, del Fronte della Gioventù, delle relative evoluzioni o delle varie scissioni. Una canzone iconica, una voce sofferta, un testo che è una cicatrice nella coscienza di una realtà umana, soprattutto giovanile, animata da sentimenti di cambiamento, ma frustrata dalle avversità della storia. Francesco Mancinelli, autore di quella ballata imprescindibile dedicata ai «figli di nessuno», ha consegnato le sue memorie nel voluminoso Generazione ’78. Viaggio storico, critico e introspettivo attraverso una comunità di destino, per l’autorevole collana Sangue & inchiostro delle edizioni Settimo Sigillo.
Allegato al libro c’è anche un cd con nove tracce fondamentali. E non poteva essere altrimenti, perché Francesco Mancinelli è soprattutto un menestrello, uno dei cantori di un mondo spesso raccontato male, interprete di una frequenza metapolitica entro cui la musica alternativa si è lasciata contaminare dal folk e dall’esperienza cantautorale italiana, a partire da Fabrizio De André. Generazione ’78 è una pietra miliare, il racconto amaro di chi ha creduto e militato tra due stragi, Acca Larentia e Bologna. È il video de Le ceneri di Primavalle, dedicata alla tragedia dei fratelli Mattei, prodotto da Rupe Tarpea, a promuovere il volume introdotto da Ugo Maria Tassinari, giornalista e autore di Fascisteria, una delle inchieste più corpose e documentate sulla destra radicale italiana.
Nel catalogo di Mancinelli ci anche sono le sonorità celtiche delle Terre di Mezzo e il Campo dei ribelli – tra musiche e parole – del progetto La Contea, probabilmente l’antologia meglio riuscita dei canti dei vinti della modernità. Un artista a tutto tondo che ha trovato nella musica uno strumento di lotta politica e militanza culturale. Ed è impossibile individuare dove finisca l’una e possa iniziare l’altra. Un tutt’uno che, dopo cinquant’anni di presenza sul campo, lo stesso Mancinelli ha voluto raccontare senza pretese di esaustività. Ma le testimonianze vanno accolte sempre con immensa gratitudine, non fosse altro perché servono a correggere quelle narrative dominanti spesso errate perché non interessate – un po’ per presunta superiorità morale e intellettuale – alla verifica sul campo. Gli esempi sono tanti e fin troppo noti.
Al di là del titolo, il volume non si ferma agli anni Settanta e Ottanta. C’è molto altro per arrivare a riflettere fino ai giorni nostri, sfruttando chiavi di lettura utili a mettere ordine a quell’impero interiore che è il filo conduttore di una intera carriera non soltanto musicale. Un libro per molti aspetti intimo, dove l’esperienza della malattia e della cura – lo rivela lui stesso nelle ultime pagine – emerge con forza interpellando il lettore.
Mancinelli è un pensatore radicale, un intellettuale «eretico» a prescindere da quale sia l’ortodossia da cui prendere le distanze. Le sue idee, espresse peraltro con estrema chiarezza, lo collocano necessariamente in opposizione alle parole d’ordine dei leader globali e dell’intellighenzia progressista planetaria, quella che – per intenderci – trova i punti cardinali nelle ricette arcobaleno e nelle picconate alle statue che arredano d’orgoglio le città occidentali. Non per questo sarebbe corretto collocarlo in campi non suoi o assoldarlo in qualche modo entro appartenenze che gli starebbero a dir poco strette o indigeste. Non sarebbe giusto. Mancinelli si pone oltre le sigle. Un uomo pesantemente critico – e lo scrive – circa la gestione della pandemia da Covid e allo stesso tempo preoccupato per la postura dei paesi occidentali in merito alle crisi di Ucraina e Medio Oriente. Idee che non è detto debbano essere accolte in toto, non fosse altro che è lui stesso a non chiederlo. Ma l’orecchio dell’artista può cogliere rumori che altri non sono abituati a sentire, per questo vale la pena mettersi perlomeno in ascolto. Chissà se alla fine non abbia davvero ragione lui. Chissà davvero.
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