«In carcere a Ivrea mi hanno picchiato, poi hanno scritto che ero caduto dalle scale»
IVREA. «Le botte di quella sera le ha sentite anche mia madre da Torino. Mi hanno picchiato e poi hanno detto al medico di scrivere che ero caduto dalle scale». È uno dei protagonisti della cosiddetta “rivoltina” del carcere di Ivrea del 26 ottobre 2016, Angelo Grottini, che si è costituito parte civile attraverso l’avvocata Manuela Perego, a raccontare il presunto pestaggio ricevuto «a ogni rampa di scale, le ultime due me le sono fatte proprio scalino-scalino» e poi nell’acquario, la sala d’attesa dell’infermeria.
Le lesioni sono prescritte, ma restano in piedi i falsi nelle relazioni di servizio per cui sono imputati gli agenti Pietro Semeraro, 35 anni, e Francesco Ventafridda, 55 anni. Scrissero che Grottini era scivolato sull’acqua utilizzata per spegnere i focolai di quella notte - erano stati incendiati materassi in altre celle - e aveva sbattuto la faccia contro la parete. Grottini fu visitato la sera stessa dal medico che certificò due giorni di lesioni per «estese ecchimosi al volto e ferite al naso» e scrisse pure che era in stato d’ebbrezza. Due giorni dopo sarà visitato di nuovo e la dottoressa che lo visita sospetterà una simulazione. In tribunale racconta di non esser passato sulla parte sulla parte bagnata e di esser stato affidato da agenti della penitenziaria di Ivrea ad agenti che non aveva mai visto in carcere. «E che non vedo neanche in questa aula», dice a un certo punto. Racconta di esser stato picchiato sulle scale, poi nell’acquario, la sala d’attesa dell’infermeria, dove sarebbe stato prima denudato. «Mi hanno lasciato una quindicina di giorni a smaltire le tumefazioni - spiega -. Dopo mi hanno rimandato al primo piano con gli altri detenuti e in seguito mi hanno trasferito a Vercelli. Io ho girato 47 carceri in Italia, più di 70 in Europa, ma quello che ho visto a Ivrea non l’ho mai visto altrove».
La lettera e la petizione strappata
Prima di Grottini testimonia anche Matteo Palo, uno dei quattro ex detenuti che avevano inviato una lettera al sito Infoaut sulla “rivoltina” - che altro non era che una protesta per le condizioni fatiscenti del carcere di Ivrea - e che stavano raccogliendo le firme tra gli agenti, ritenuti “buoni”, per mettere fine alle violenze in carcere.
«L’ispettore me l’ha strappata davanti», dice. Palo successivamente era in cella con Grottini e racconta di aver visto i suoi lividi, anche 15 giorni dopo. Il garante regionale dei detenuti Bruno Mellano parlerà con Grottini quando era già stato trasferito a Vercelli.
Palo racconta anche di un giorno in cui tutti scesero «all’aria, perché alcuni detenuti avevano visto un cadavere tenuto da una settimana circa in un locale dell’infermiera».
L’avvocato Celere Spaziante che difende gli agenti accusati di falso e altri agenti coinvolti nel procedimento precisa: «Dal nostro punto di vista è del tutto inverosimile sia che quel giorno ci fosse polizia penitenziaria non di Ivrea, entrata da fuori, sia che una salma resti una settimana nel locale dell’infermeria».
«Messo in mezzo da altri detenuti»
Un altro ex detenuto, Mennai, di origine marocchina, risponde alle domande dei pm Sabrina Noce e Giancarlo Avenati Bassi in sostanza dicendo che «la polizia penitenziaria non mi ha fatto niente, se tu fai il bravo e non ti tocchi gli assistenti nessuno ti tocca. Quando ho chiesto di andare a parlare con il procuratore Ferrando sono gli altri detenuti che mi hanno convinto a firmare una richiesta, ma quella non l’avevo scritta io».
Le testate al muro
Poco prima testimonia un altro detenuto, Gerardo Di Lernia, che avrebbe subito un pestaggio. Anche qui le lesioni sono prescritte, ma è ancora in piedi l’accusa di falso verso gli agenti Franco Rao, 53 anni, e Rocco Firenze, 52 anni, difesi entrambi dall’avvocato Enrico Scolari. Nella relazione di servizio c’era poi scritto che il detenuto avrebbe preso a testate il muro, dicendo pure «poi vi denuncio così dico che siete stati voi a farlo». Si tratta di una relazione falsa, però, secondo i pm Noce e Avenati Bassi. Di Lernia sostiene di essere stato picchiato nell’acquario e nega di aver battuto il capo al muro. Durante l’esame l’avvocato Scolari insiste molto sull’ordine cronologico dei fatti. In mattinata, infatti, Di Lernia aveva preso per il collo un agente, fatto per cui fu condannato a 8 mesi. Poi avrebbe fatto un consiglio di disciplina, in cui avrebbe dato in escandescenze e solo nel pomeriggio sarebbe stato picchiato. Di Lernia invece sostiene di non aver fatto nessun consiglio di disciplina quel giorno e di esser stato picchiato tra le 12 e le 14.