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Cairo, i nuovi stadi, la questua di soldi pubblici

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“Per vedere una cosa bisogna comprenderla” Jorge Luis Borges “Le canaglie preferiscono morire a testa alta”, scrive Osvaldo Soriano, e in questo caso il senso dell’epiteto è quello positivo, ovvero di coloro che mostrano di vivere la vita con quel senso di audacia necessario laddove si voglia lasciare una traccia. Non è il caso di Urbano Cairo, di cui è impossibile parlare di “canaglia audace”, ma di tenace questuante di fondi governativi ad ogni piè sospinto; fossero legati al “tax credit” o al “decreto crescita” non importa, l’importante è arrivare ad ottenere la “pecunia di Stato”. Da liberale quale sono ogni volta che sento parlare di prebende pubbliche mi viene lo sconforto poiché le considero una sconfitta per il “mercato”, unica via per generare ricavi con dentro anche utili, buon viatico per lo sviluppo d’impresa. Unico modo per poter cominciare a parlare veramente di espansione vitale economica e di conseguente aumento del Pil. Le continue richieste del presidente del Torino hanno poi l’aggravante di non mirare ad avere dei soldi pubblici per perseguire progetti infrastrutturali(leggi stadi nuovi), che avrebbero il pregio di avere un impatto sul Pil, sull’occupazione, sul Fisco e sui redditi, e quindi con un rilevante “effetto moltiplicatore”, il quale dovrebbe essere il motivo valido per indebitare ulteriormente la fiscalità generale. LEGGI ANCHE: Calcio e multiproprietà Il potente editore, potete star certi e alla stessa stregua dei suoi colleghi, userebbe gli aiuti di Stato per sostenere la “spesa corrente”, voce certamente necessaria di un bilancio ma che va nella direzione diametralmente opposta del capitolo “investimenti”. E’ esattamente così che si è giunti, nella nostra Serie A, ad avere un debito di quasi 4 miliardi, cosa alquanto incomprensibile per uno sport con una facilità imbarazznte di coltivare e ipotizzare ricavi. E’ sconfortante rilevare come pochi club abbiano utilizzato i vari aiuti di Stato previsti in questi anni per costruire o ammodernare gli stadi, anche quelli in usati in “concessione amministrativa e quindi non necessariamente di proprietà. Il sospetto è quello di un sistema calcio italiano restio dall’occuparsi degli investimenti, e molto attivo invece nel mercato delle sponsorizzazioni e dei calciatori, da aggiungersi a quello noto dei diritti tv. Nessun club, ad esempio, ha mai veramente puntato al mercato dei diritti multimediali per “costruire” storie di utili in bilancio. Forse perché anche in questo caso occorrerebbe investire cifre importanti prima di vedere il ritorno dell’investimento? Forse perché è più facile fare affari e soldi con operazioni semi farlocche come quello tra Napoli e Lille sulla compravendita di Victor Osimhen? Olivier Letang, attuale presidente del Lille, ha di recente dichiarato come dalla valutazione di settanta milioni di euro data a suo tempo al calciatore nigeriano, solo 7 milioni siano effettivamente entrati nelle casse del club transalpino. LEGGI ANCHE: Maradona avrebbe potuto giocare con il Torino? L’aspetto comico di questa vicenda, è che in Italia in rifermento ad essa si continua ancora a parlare di “plusvalenze sospette”. Ed è in questo contesto da vendita di Totò della “Fontana di Trevi”, dove nemmeno davanti a chiare mistificazioni di operazioni di mercato si sanzionano i colpevoli, che gente come Urbano Cairo vorrebbe l’aiuto di Stato. Da parte della Lega non c’è mai stata non dico una proposta, ma nemmeno un invito al Governo a sedersi ad un tavolo per parlare di fondi del PNRR da utilizzare per risolvere l’annosa questione infrastrutturale. C’è maliziosamente da pensare al timore da parte dei club di avere il naso dello Stato nei loro libri contabili, cosa automatica nel caso si fosse ricorsi al PNRR. L’unico legame del fondo europeo con il calcio italiano è il complicatissimo affaire rinnovo dell’Artemio Franchi, che rientra in un finanziamento quadro per la riqualificazione del quartiere dove si trova lo stadio, e dove comunque è di una proprietà del Comune di Firenze che si sta parlando e non della Fiorentina. Di conseguenza sono state scongiurate qualsiasi “due diligence” pubbliche sui libri contabili del club Viola. Il calcio onnivoro di denaro vorrebbe rimanere nella zona d’ombra dell’impunità, chiedendo di rimanere nell’alveo delle aziende indipendenti e in perenne attesa di occasioni per chiedere soldi pubblici. LEGGI ANCHE: Redbull e dintorni Non è difficile ritenere i pochi italiani rimasti proprietari di club calcistici tra il peggio espresso dalla classe imprenditoriale del BelPaese, abituati ad agire con i soldi altrui piuttosto che con quelli dei bilanci delle proprie società, che hanno cura di tenere sempre in “rosso”. Eppure se si mettesse in atto un piano complessivo per giungere agli stadi di proprietà, la spesa per costruirne di nuovi o per la loro ristrutturazione procurerebbe diecimila occupati in più nei cinque anni previsti per il completamento dell’operazione, con un effetto moltiplicatore della spesa pari a 1,81. In pratica sarebbe un esempio assai virtuoso di spesa pubblica. Ma volendo uscire fuori dall’’incentivo pubblico, nel calcio usato(con successo) massicciamente per la prima volta dal governo di Margaret Thatcher dopo la pubblicazione del celebre “Rapporto Taylor”, non si capisce perché i club non facciano ricorso al credito bancario o a quello dei “venture capital” per far accadere un qualcosa auspicata da più parti come il fatto salvifico del calcio. “Senza un grande evento sembra quasi impossibile realizzare stadi in Italia”, ha detto di recente, in preda allo sconforto, l’attuale Ministro dello Sport Andrea Abodi, alle prese con l’intricata questione stadi per “Euro 2032”, gli europei di calcio organizzati dal nostro Paese insieme alla Turchia. Siamo fortemente in ritardo per l’ammodernamento infrastrutturale necessario richiesto dall’Uefa, e il rischio di perdere per inadempienza la kermesse calcistica europea rimane alta e mette apprensione. Nel caso sciagurato, non sarebbe per l’Italia una bella figura. LEGGI ANCHE: Elegia per Federico Buffa Si ragioni su un solo dato: lo stadio “San Siro, la cosiddetta “Scala del Calcio”, nelle sue condizioni attuali non potrebbe ospitare le partite di “Euro 2032”. Abodi ha ricordato che se quattro società sono riuscite a realizzare infrastrutture nuove, vuol dire che realizzarle è possibile: “ci vuole consapevolezza- ha detto l’attuale Ministro dello Sport- come i nuovi stadi siano necessari e doverosi, anche nei termini di determinare una valorizzazione dei diritti dell’audiovisivo, sia per quello che viene trasmesso in Italia, ma anche per quello che viene trasmesso nel mondo”. Valorizzare l’impresa dovrebbe essere l’obiettivo primario, e in tale processo di valorizzazione fa male guardare solo al piccolo ricavo dalla “scarsella” pubblica, da utilizzare semmai come appoggio aggiuntivo a veri piani imprenditoriali. Purtroppo Urbano Cairo non è la “canaglia” prefigurata da Osvaldo Soriano, è chiaro come per lui il calcio non sia un futuro roseo di utili, ed è proprio qui il motivo principale della stagnazione della società Granata sia in termini di risultati che di ricavi. Il Presidente del Toro è il simbolo vivente del ritardo del nostro Paese su tutti i fronti, della nostra incapacità di ottemperare a dei semplici doveri di impresa, cosa che ci porta ad arrossire persino di fronte alla Turchia di Erdogan, già pronta con i suoi otto impianti per “Euro 2032”. Il declino “tricolore” è la resistenza a prendere impegni e rispettarli, salvo poi chiedere scappatoie per salvare i propri patrimoni piuttosto che quello delle imprese. La cosa triste della vicenda Granata di Urbano Cairo si può riassumere nel suo esprimere dopo vent’anni solo la richiesta di un sussidio pubblico, senza mai ipotizzare veri progetti di sviluppo per il futuro. Più che per i mancati risultati sportivi, è per questo che dovrebbe andarsene al più presto dal calcio. Si goda il suo successo nell’editoria, ma permetta al Toro finalmente di avere speranza di crescita. Perché nel calcio si può. Scrittore, sceneggiatore e regista. Tifosissimo granata e già coautore con il compianto Anthony Weatherill della rubrica “Loquor” su Toro News che in suo onore e ricordo continua a curare. Annovera, tra le sue numerose opere e sceneggiature, quella del film “Ora e per sempre”, in memoria del Grande Torino. Disclaimer: gli opinionisti ospitati da Toro News esprimono il loro pensiero indipendentemente dalla linea editoriale seguita dalla Redazione del giornale online, il quale da sempre fa del pluralismo e della libera condivisione delle opinioni un proprio tratto distintivo