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Jenson Brooksby rivela: “Ho una forma di autismo, non voglio più nasconderlo. Mi aiuta quando c’è pressione”

Jenson Brooksby non gioca un incontro ufficiale da quasi due anni: era il gennaio del 2023 quando perse contro lo statunitense Tommy Paul al terzo turno degli Australian Open, dopo aver firmato l’impresa contro il norvegese Casper Ruud (ai tempi numero 3 del mondo). Lo statunitense veniva descritto come un possibile talento del circuito mondiale, ma da quel momento non si è più visto in campo, a causa di un paio di infortuni (doppia operazione ai polsi) e di una violazione dei whereabout.

L’americano avrebbe potuto tornare a giocare a marzo del 2024, ma durante la preparazione ha accusato un dolore alla spalla e allora ha concentrato la propria attenzione in vista della prossima annata agonistica. Nel frattempo il 24enne ha raccontato ad AP che da bambino gli è stato diagnosticato un disturbo dello spettro dell’autismo. Il tennista ha precisato che fino a quattro anni era affetto da autismo non verbale, parlava a malapena e non interagiva: trascorreva più di 40 ore a settimana con i neuropediatri per migliorare nelle situazioni sociali e nella comunicazione.

Jenson Brooksby ha raccontato del suo rapporto con Michelle Wagner, un’analista del comportamento specializzata in disturbi dello spettro autistico che ha iniziato a seguirlo poco prima dei tre anni. La dottoressa ha seguito il percorso del bambino per più di tre anni e ha identificato precocemente le difficoltà del bambino. Ora il desiderio del giocatore è quello di ispirare tutti i ragazzi che stanno vivendo una situazione simile e dimostrare che si può avere successo.

Il 24enne si è infatti espresso in questo modo: “È qualcosa che non voglio più tenere per me. È chiaramente un argomento molto personale, qualcosa che, per molto tempo, non mi sentivo abbastanza a mio agio da confessare nelle conversazioni con le persone che amavo molto. Ma ci ho sempre pensato e, col passare del tempo, ho voluto parlarne. L’autismo diventa un grande vantaggio nei momenti di pressione in campo, in quanto mi permette di concentrarmi su due o tre dettagli molto specifici per un lungo periodo di tempo. L’obiettivo è diventare un giocatore migliore“.