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I motivi dello scontro Colle-Musk. Salvare la Ue e fiaccare la Meloni

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Elon Musk, l’anti Mattarella. Due mondi che parlano lingue diverse e che tendono ad elidersi a vicenda. Uno l’antiestablishment, l’altro l’establishment. Uno erede di un nonno che ha fatto la prima trasvolata tra Australia e Sudafrica, l’altro erede della Dc siciliana, capace di dimettersi per protestare contro la legge Mammì, di parlare pochissimo dicendo tantissime cose. E se stavolta Mattarella è arrivato a parlare apertamente significa che lo scontro è alle stelle. E rappresenta una distanza talmente siderale che in ben due occasioni il Colle non ha esitato a esternare il disagio. A metà novembre Mattarella ha replicato direttamente a Musk con l’obiettivo di difendere i giudici italiani. In quell’occasione il capo dello Stato ha voluto puntualizzare che l’Italia sa badare a sé stessa, sventolando un sovranismo tutto nuovo. Mai praticato prima, quando a intromettersi nella nostra politica interna erano politici tedeschi, francesi e burocrati non eletti ma residenti a Bruxelles.

L’altro ieri la nuova stoccata contro la «privatizzazione del potere pubblico» e «il pericolo tecnocapitalista». Posto che tali termini non sono mai stati utilizzati a indicare gli altri tycoon della Silicon Valley che al contrario con i loro algoritmi hanno sempre sostenuto il lato dem dell’America. E per sostenuto ci riferiamo a Cambridge Analitica e alle interazioni pro Barack Obama. Oppure gli interventi di censura da parte di Google o Meta. Posta tale premessa, è chiaro che lo scontro in atto debba essere qualcosa di molto più profondo. E non il semplice timore che un imprenditore diventi troppo potente alla pari del titolare della Casa Bianca.

La reazione di Mattarella va vista in gran parte con gli occhi diretti all’Europa e all’Italia. Innanzitutto c’è il timore che, nel caso in cui la coppia Musk-Trump non divorzi a breve - la prossima amministrazione Usa riesca a disarticolare l’intero Deep State formatosi negli ultimi 15 anni, quello targato Obama. Lo sostituisca interamente e azzeri i rapporti con l’intera filiera europea e italiana che fa riferimento al mondo socialista. L’effetto sarebbe rivoluzionario. Per l’economia e la geopolitica. Ad esempio le scelte industriali della Commissione si troverebbero a fare i conti con funzionari disposti a tutto pur di rompere le relazioni Ue-Cina. Di azzerare la transizione green e farci rimettere in discussione la filiera di approvvigionamento delle materie prime. L’opposto delle politiche tedesche e della prima legislatura Ursula. Politiche completamente diverse da quelle che l’Italia ha abbracciato prima del governo Meloni.

Vale la pena ricordare che nonostante Roma abbia dato disdetta all’accordo sulla Via della Seta, Mattarella si è recato in Cina e ha, politicamente, abbracciato le richieste di Xi Jinping scegliendo (da esperto comunicatore) di visitare la tomba del gesuita Prospero Intorcetta, colui che ha tradotto Confucio, simbolo dell’espansionismo cinese. Il timore di una rottura dell’equilibrio delle cancellerie Ue deve essere così vivo da mettere in apprensione figure ai quattro angoli della politica. Romano Prodi, Mario Monti e molti altri nel silenzio delle stanze dei palazzi. La presa di distanza di Mattarella è ovviamente molto più fine di quanto la possiamo noi descrivere. Indica anche una strada di dialogo con gli Usa. Cioè, il Colle parlerà con il segretario di Stato alla Difesa, quello al Tesoro che anche se repubblicani contribuiranno a mantenere intatti gli equilibri della Democrazia cristiana trasversale e dell’establishment europeo. Basti pensare che Scott Bessent, volto noto a Wall Street e nominato proprio al Tesoro contro il parere di Musk, sarebbe pronto ad appoggiare la nomina di Mario Draghi alla Banca Mondiale. Dove, come tutti sanno, non si arriva senza il visto americano.

Insomma, chi ha fatto politica per decenni sa che anche chi vince deve fare i conti con opposizioni interne che in futuro potrebbero rivelarsi ago della bilancia. E quindi il Colle nel prendere le distanze traccia un tentativo di tutelare gli equilibri di un mondo ben definito da decenni e, al tempo stesso, mette le mani avanti nel caso in cui la coppia Musk-Trump si rivelasse troppo forte e al tempo stesso la vera sostenitrice di Giorgia Meloni.

La partita sullo sfondo della politica italiana è duplice. O passa la riforma del premierato e viene meno l’equilibrio tendente a sinistra degli ultimi 70 anni oppure il timore di molti oppositori del governo è che la Meloni nel 2027 possa cambiare strategia. Abbandonare il premierato e interessarsi al Colle. D’altronde dal gennaio del 2027 il premier avrà 50 anni e per lei diventa contendibile la corsa. Inoltre dal prossimo anno, nel caso in cui si andasse a elezioni, l’eventuale nuovo Parlamento sarebbe quello chiamato a nominare il successore di Mattarella. Il quale non potendo fare un terzo mandato potrebbe pensare a un delfino. Ma certamente non potrebbe immaginare un presidente di destra. Invece, la Meloni sarebbe la prima donna e se avesse l’appoggio degli Stati Uniti potrebbe farci un pensierino. Forse per questo è scattata come una molla quando Prodi l’ha accusata di non essere indipendente e prendere ordini a stelle e strisce. In qualche modo dietro quel messaggio deve esserci un callo fastidioso. Insomma, siamo di fronte a una partita a scacchi tridimensionale con più partite in contemporanea e più cavalli da usare. Di certo, si capirà dopo il 20 di gennaio, una volta insediato il nuovo governo della Casa Bianca, se Musk avrà luce verde per travolgere le cancellerie Ue, Il Colle che ne è garante alzerà ancor di più la temperatura della pentola a pressione.