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Sananda Maitreya, l’uomo che fu Terence Trent D’Arby

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di Diego Perugini

Facciamo un salto carpiato all’indietro nel tempo. Anno di grazia 1987, esce “Introducing the Hardline According to Terence Trent D’Arby”. 

Il disco di “If You Let Me Stay”, “Sign Your Name” e “Dance Little Sister”, tanto per capirci. Un gioiello ancora fulgido, non a caso best-seller dell’epoca. Un concentrato vibrante di soul, funky, pop e rock, con una voce “black” da paura. Chi c’era, ricorda ancora bene il suo primo concerto milanese, novembre 1987, in un Rolling Stone pieno come un uovo, un set breve, tirato ed energico, con i fan in delirio.

E lui sul palco a cantare e ballare, divo sexy dalle lunghe treccine mangiato con gli occhi dal pubblico femminile.

E’ il debutto di un artista che sembrava destinato a fare sfracelli. Poi le cose hanno preso un’altra strada. Terence, disgustato dalle regole e dalle imposizioni del mondo discografico, a un certo punto ha detto basta. Non voleva venire stritolato dal sistema, ma mantenere la propria libertà artistica. Così ha mollato tutto, ha cambiato il proprio nome in Sananda Maitreya (legalmente dal 2001) e ha ripreso a fare musica a modo suo. Senza limiti e confini. Quindi ha inciso diversi album di buon livello, ma senza più raggiungere il successo di un tempo. 

“Non mi interessa essere in cima alle classifiche, ma che la gente mi conosca e mi ami per la mia musica. Amo fare musica. E’ un grande privilegio, una benedizione. E anche una grande responsabilità” spiega.

Il suo ultimo lavoro (il tredicesimo in studio), “The Pegasus Project: Pegasus & The Swan”, è uscito qualche mese fa: un doppio con ben 41 pezzi, alcuni appena accennati, altri più compiuti come “The Things U Like”, “The Birthday Song!” e “Love is Blind”. 

Dal disco in questi giorni viene lanciato il nuovo singolo “Bondage”, un brano soul-blues con la voce spesso in falsetto e un testo che, sottotraccia, riflette sulla natura della schiavitù nella nostra vita quotidiana. Così anche nel “lyric video”, con animazioni dalle atmosfere cupe e oppressive, che rimandano ai regimi totalitari preconizzati da Orwell. 

“La nostra libertà di parola è stata trasformata in una sorta di prigionia – aggiunge Sananda – Tutto è controverso, tutto è un’occasione per essere giudicati e attaccati. Le persone hanno il diritto di esprimersi. Con la scusa di proteggere gli altri, ci viene impedito di usare certe parole o linguaggi”. 

Il 1° gennaio 2025, inoltre, sarà pubblicato “The Pegasus Project Live”, disco registrato dal vivo durante il tour estivo europeo di Sananda. L’artista, che da tempo vive a Milano, è però assente da qualche anno dai palchi italiani. La speranza è che il 2025 ci porti l’opportunità di rivederlo in concerto anche da noi. 

mannaggiallamusica.it

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