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Ires premiale per le imprese solo a quattro condizioni. E la misura vale un dodicesimo della vecchia Ace che il governo ha abolito

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Mentre le richieste di cassa integrazione esplodono come conseguenza di una pesante crisi dell’industria, il governo pensa bene di attuare una delle promesse della delega fiscale riducendo le imposte alle imprese che investono e aumentano il numero dei lavoratori senza ricorrere agli ammortizzatori sociali. L’Ires premiale caldeggiata da Confindustria riduce l’aliquota dell’imposta dal 24 al 20%, ma spetterà solo alle (poche) aziende che rispetteranno una serie di paletti e condizioni sull’impiego degli utili ma anche sul fronte dell’occupazione. La copertura della misura ammonta a 400 milioni che arriveranno da un aumento temporaneo dell’imposizione sulle banche. La cifra è ben lontana dal compensare l’abolizione dell’Aiuto alla crescita economica (Ace) decisa dal governo Meloni a fine 2023: con la cancellazione di quell’agevolazione fiscale, nata nel 2011 per incentivare il reinvestimento degli utili in azienda, l’imposizione sulle imprese è salita di 4,8 miliardi. Sottraendo le risorse stanziate per la super deduzione per le nuove assunzioni, resta un guadagno netto di 3,48 miliardi per lo Stato, che ora “restituisce” appunto solo 400 milioni.

La norma, chiesta a più riprese dal presidente di viale dell’Astronomia Emanuele Orsini, è stata inserita in manovra con un emendamento del governo. Per vedersi ridurre l’aliquota le società dovranno accantonare l’80% dell’utile netto che risulta dal bilancio al 31 dicembre 2024 (e mantenerlo fino al 2026 compreso). In più dovranno utilizzare almeno il 30% dell’utile accantonato (scegliendo il valore più alto della riserva tra l’anno 2023 o il 2024) per investire in beni strumentali con caratteristiche 4.0 o 5.0. Questa spinta al rinnovamento in chiave di innovazione prevede paletti anti-elusione: non sarà possibile acquistare e vendere quei beni, che dovranno essere mantenuti per i cinque anni successivi pena la restituzione del risparmio fiscale.

Altre due condizioni riguardano i lavoratori. L’impresa, che non potrà essere in liquidazione, dovrà avere nel 2025 un numero di dipendenti non inferiore alla media del triennio 2022-2024. Nel 2025, poi, dovrà assumere nuovi lavoratori a tempo indeterminato con un aumento dell’1% del numero medio dei dipendenti rispetto al 2024. Inoltre, non dovrà aver fatto ricorso alla cig, tranne che per eventi transitori e non imputabili all’impresa, come il caldo eccessivo, le intemperie o un evento catastrofico.

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