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Ansia: la sindrome di Babbo Natale

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Paradossale, ma durante le festività molte persone, anziché essere rilassate, vengono travolte da malumori e altri stati d’animo negativi. Troppe aspettative dalla famiglia, oppure nessuno con cui stare insieme, oppure contrasti e altro ancora... E così si impennano le vendite di quei farmaci che «tranquillizzano».


Quelle tavolate di parenti, quelle serate infinite nell’attesa della mezzanotte e poi lei, il convitato di pietra: l’ansia. Per i conflitti familiari, per le domande che ti faranno, per il fratello ricco che però ti invidia o la sorella in difficoltà che - lo sai già - chiederà un prestito. Per i regali che hai fatto (non all’altezza?), per i chili in agguato dopo mesi di dieta e per le discussioni che, è inevitabile, andranno sulla politica e finiranno in scontri aperti.

La tensione dei ragazzi cui verrà chiesto conto del rendimento scolastico o dei programmi per il futuro, delle giovani coppie alle quali tutti domanderanno quando allargano la famiglia - e magari non possono, o non ci pensano proprio, e comunque sono fatti loro - e la paura struggente degli anziani: passare il Natale da soli.
Le prossime settimane saranno difficili: in un Paese come l’Italia, dove nel 2023 - come spiega l’ultimo rapporto OsMED sul consumo di farmaci - la spesa per ansiolitici e antidepressivi ammontava a 450 milioni di euro (il primato dei più depressi va ai cittadini toscani e quello dei più felici ai siciliani), il mese di dicembre porta spesso con sé un carico di preoccupazioni, tristezza, incomunicabilità e frustrazione.

«Il Natale cade nel picco del cosiddetto buio fisiologico» afferma Giuseppe Bersani, già ordinario di Psichiatria all’Università La Sapienza di Roma. «Cioè quel periodo dell’inverno appena dopo il solstizio del 21 dicembre: sono i giorni più corti dell’anno, e questo ha fisiologicamente un effetto inibitorio cognitivo, mentale e fisico che ci porta ad apatia, sonnolenza e rallentamento delle attività. E anche a un orientamento più depressivo dell’umore. In più, le feste sono il momento in cui si fanno i conti con la propria realtà, soprattutto relazionale. Ci rendiamo conto di avere un anno di più ed elaboriamo ragionamenti esistenziali su traguardi e obiettivi: non sempre ci promuoviamo».

A ciò si aggiunge il fatto che nell’era dei social siamo esposti alle vite degli altri, o meglio, alle immagini mostrate. E poi abbiamo dimenticato la dimensione religiosa. «Fino a qualche decennio fa» continua Bersani «quando il Natale era percepito come festa cristiana e aggregante, c’era una sorta di consolazione condivisa. Oggi, trasformato in evento profano, ha impoverito il suo senso profondo, contribuendo a una minore “compensazione” del malessere che più o meno tutti viviamo. Infine, i social media ci mettono davanti alle immagini delle vite altrui apparentemente felici, contribuendo alla frustrazione di non riuscire a fare viaggi o esperienze appaganti, o ad avere attorno alla tavola delle feste famiglie belle e felici».

Quando si parla di anziani, poi, tutto si complica ulteriormente, dato che la vecchiaia di per sé predispone alla fragilità. «Tutti i disagi fisici e psichici accumulati nella vita rendono chi è in età avanzata più indifeso rispetto alle feste natalizie» afferma lo psichiatra e geriatra Renzo Rozzini, direttore del programma Benessere-Salute-Longevità dell’ospedale Poliambulanza di Brescia. «Magari sono vedovi e ricordano i Natali passati, oppure soffrono perché non riescono a trovare una chiave per comunicare adeguatamente con i nipoti. Nella terza età si è meno adattabili, meno tolleranti, c’è una incapacità di fondo nello stare con gli altri».

A quel punto è ovvio che debbano essere gli adulti, i figli, a saper mediare e a costruire una giornata di festa appagante per tutti. Facile a dirsi e molto meno a farsi: conflitti, obblighi di incontro con figure familiari con le quali non si va d’accordo, spese, regali e organizzazioni complicate, rendono il periodo della fine d’anno come un incubo. E il problema potrebbe essere anche più ampio di ciò che pensiamo.
«Siamo ormai una comunità che mira all’anestesia» prosegue Rozzini. «Non riusciamo più ad affrontare la sofferenza, ad accettare il fatto che alcuni momenti siano ineludibili. Le forti cariche emotive del Natale ci sono sempre state, ma negli ultimi anni le stiamo letteralmente medicalizzando: dovremmo invece re-imparare ad “antagonizzare”, accettando il fatto che così come non possiamo essere tutti belli o ricchi, non possiamo essere sempre tutti felici».

Ma se proprio non riusciamo a mantenere un equilibrio, e rischiamo di sprofondare nella depressione o nell’ansia, possiamo anche chiedere al nostro medico un farmaco che possa aiutarci, senza inutili demonizzazioni. «Se producono benessere e servono a farci stare meglio, i medicinali sono utilissimi» sostiene Bersani. «L’importante è distinguere: no agli antidepressivi se non in caso di vera depressione diagnosticata dal medico, sì agli ansiolitici, ovviamente sempre su prescrizione. Possono davvero aiutare, se ci si trova in una situazione di ansia e forte disagio. Occorre solo stare molto attenti a non abbinarli all’alcool e a evitare di guidare l’auto dopo averli assunti».

Per tutti, poi, ci sono strategie utili e naturali che si possono mettere in atto. Un esempio? Fare del bene. «Si può consigliare di frequentare parrocchie o associazioni, luoghi dove si pratica la convivenza, e soprattutto il volontariato» conclude Rozzini. «Rendendosi utili - penso a chi prepara e serve i pranzi di Natale ai senzatetto, o a chi va a trovare i malati negli ospedali - si riesce a trasformare un periodo emotivamente difficile e doloroso in un momento di gioia, praticando l’altruismo».
Sopportare con pazienza famigliari o amici un po’ molesti, respingere il pensiero ricorrente della cognata antipatica che ci toccherà incontrare, dei regali che magari ci faranno orrore, delle conversazioni un po’ così, e aprire il cuore e la mente. La formula giusta per un Natale che, in questo modo, sarà più gradevole e meno ansiogeno del previsto.