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Regaliamoci una scuola nuova per il 2030

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L’indagine sulle competenze degli adulti condotta dall’OCSE condanna ancora una volta gli italiani, descrivendoli come analfabeti funzionali, perciò incapaci di comprendere un testo scritto, e con gravi carenze nella risoluzione di problemi, mostrandosi manchevoli anche in capacità matematiche e logiche. E questo è ciò che emerge dall’analisi degli adulti, in attesa che diventino adulti quelli che, anno dopo anno, sui banchi di scuola manifestano carenze sempre più evidenti a ogni rilevazione e in ogni momento del percorso scolastico. Ciononostante, questi risultati sono riportati in queste ore un po’ ovunque ridendoci su con una battuta, un aneddoto, una GIF con le orecchie d’asino o un Meme di Vittorio Sgarbi che dice “capra” condiviso sui cellulari che, a differenza dei libri, tra gli italiani abbondano (1,3 smartphone per ogni abitante).

Che fare? Innanzitutto, si eviti la ricerca del capro espiatorio. Non è la televisione da sola, non è la famiglia da sola, non è il cellulare da solo ad avere le mani sporche del sangue dei nostri padri nobili. E certo non è nemmeno la scuola a esserne responsabile, perché la scuola è un’istituzione immersa nel suo tempo ed è determinata dalla società di cui fa parte, dalla politica che la foraggia, o no, e dal popolo che la costituisce e la vive, che è lo stesso che salta la fila, che non paga le multe, che grida in sala d’attesa, che sceglie l’uovo oggi e farà di tutto per accaparrarsi anche la gallina domani. Certo la scuola è il cardine sociale dell’istruzione, perciò ha senso ripartire da un’analisi del suo funzionamento. La scuola italiana sta male e, senza elencarne i punti di debolezza e gli elementi di crisi, stavolta tocca rifondarla in due tempi.

Il primo tempo è il breve e medio termine: la scuola come è fatta ora, con una buona dose di investimenti, può essere migliore avendo a disposizione spazi migliori, docenti in maggior numero e pagati meglio, qualche migliaio di psicologi assunti in pianta stabile e a disposizione della popolazione scolastica, strutture adeguate allo studio quando fa più freddo di quanto si possa sopportare con un maglione e più caldo di quanto si possa gestire senza sudare incollando gli avambracci ai fogli di quaderno. Ma queste sono pezze e, per quanto potrebbero in effetti sembrare miraggi e sogni a occhi aperti, sono comunque palliativi buoni per qualche anno, eccome, ma non è ormai più niente di risolutivo.

È infatti il lungo termine ciò su cui serve ragionare, dedicando dibattiti pubblici, serate in televisione magari un giorno alla settimana (perché no?), discussioni sui social, proposte politiche. Sì, perché la scuola è sempre il perno della società nascente e, dato che il quadro culturale italiano è disastroso, è tempo di pensare a una nuova scuola che possa accogliere bambini e studenti nel 2030, prendendosi cinque anni di lavoro matto e disperatissimo e concretizzare intorno a una cifra tonda.

Per fare questo, occorrono coraggio, progettualità e ispirazione: proprio così, sono questi alcuni degli ingredienti indispensabili.

Coraggio. Quello necessario per ripensare la scuola avendo come obiettivo quello di formare studentesse e studenti, provando a tralasciare nella fase progettuale che la scuola sia il posto di lavoro di centinaia di migliaia di persone e mettendo al centro della ri-forma della scuola quel che possa davvero servire per renderla un luogo sicuro, bello, curioso, stimolante, di riflessione, di studio fatto come si deve, di lezioni fatte come si deve, di metodo di lavoro, di interesse, di emancipazione. Certo, il coraggio servirà anche per gestire questa enorme forza lavoro che deve essere considerata, gestita, inquadrata, stipendiata. Come è critico il passaggio dai motori termici a quelli elettrici, e andrà affrontato, così lo è se si intende proporre una scuola tutta nuova, un modello nuovo per un secolo nuovo, ormai giunto al suo primo quarto, e diverso dal passato. Serve coraggio per pensare una scuola nuova avendo a mente tutte queste complessità, ma l’alternativa è continuare con questo modello vecchio, ormai incapace di rinnovarsi e che scontenta tutti e forma nessuno, che resta sempre più isolato in Europa – senza dovere inseguire alcun modello, sia chiaro – e che per sopravvivere non può che continuare a semplificarsi, a ridursi, a morire ogni giorno.

Progettualità. Quella necessaria se ci si trova intorno a un tavolo con un foglio bianco, soldi da investire, risorse da formare, modelli da studiare. Poco da aggiungere, se non che la progettualità è di chi si fa carico del benessere delle generazioni future. Un concetto avveniristico, da filantropi, ma a pensarci bene è proprio la caratteristica che fa di Enea – l’eroe virgiliano di duemila anni fa – un esempio credibile e possibile con la sua dedizione al lavoro inteso come riscatto, con la sua lealtà, con la sua adesione non scontata, non semplice, non automatica a un progetto più grande di lui.

Ispirazione. Quella che rende una cosa umana una cosa grande. La scuola che abbiamo frequentato e quella in cui lavoriamo, o in cui mandiamo i nostri figli, o di cui parliamo, non ispira nulla e non è ispirata. È quindi un piccolo orizzonte che non può che partorire piccoli orizzonti. Serve ispirazione per ripensare una scuola che sia la forza del quartiere in cui è immersa, polo di aggregazione culturale, luogo di raccolta di idee, punto di riferimento per chi vuole imparare a studiare. Non solo le capitali europee, che peraltro non dovranno essere rimpiazzate perché inutili, ma anche per imparare a studiare le mosse migliori per risolvere un problema, una questione o un caso, senza che siano tralasciate la bellezza dell’arte, la fatica dell’apprendimento, l’entusiasmo della scoperta. E a ogni età.

Quando cominciamo, quindi?

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