La protesta degli ‘schiavi dei divani’ di Forlì va avanti: “Così ci sfruttano, ecco la catena”
La protesta degli “schiavi dei divani” di Forlì va avanti e la situazione resta tesa e irrisolta. Gli operai, organizzati dal sindacato Sudd Cobas, continuano a presidiare lo stabilimento di via Meucci dove da otto mesi vivono in un magazzino trasformato in dormitorio. La richiesta è chiara: applicazione del contratto nazionale, turni di 8 ore per 5 giorni, pagamento dei contributi INPS e una soluzione abitativa dignitosa. Tuttavia, la trattativa con l’azienda si è interrotta martedì pomeriggio, quando la direzione ha respinto le richieste sindacali. Sul luogo del presidio è intervenuta anche la polizia per identificare i manifestanti, in quello che i sindacalisti vedono come un tentativo di intimidazione. “Non stiamo chiedendo la luna – spiega Sarah Caudiero di Sudd Cobas – sui diritti minimi e la legalità non trattiamo”.
Dietro le condizioni denunciate dai lavoratori si nasconde una rete di sfruttamento ben organizzata, sostiene Sudd Cobas. Al vertice, ci sarebbe la multinazionale HTL International, con sede a Singapore; al centro, Gruppo 8, un’azienda italiana che concede in uso gratuito i propri stabilimenti a Sofalegname Srl, un piccolo appaltatore con appena 1.000 euro di capitale. “Gli operai Sofalegname lavorano in esclusiva per Gruppo 8, sotto la direzione del suo personale: siamo davanti a un caso di intermediazione illecita di manodopera”, è la grave accusa Sudd Cobas. Che Gruppo 8 respinge affermando che “esiste una distinzione netta con Sofalegnami” e che “l’azienda non sappia nulla di quello che avviene in Sofalegname, che è contoterzista del gruppo, committente del lavoro”. Ma, sostiene ancora il loro legale, “non ha nulla a che fare con la gestione dei dipendenti”.
Le condizioni dei lavoratori, in ogni caso, sono pesanti: turni di 12 ore al giorno, sei o sette giorni a settimana, su macchinari privi di dispositivi di sicurezza per accelerare la produzione. Per le altre 12 ore, gli operai, per lo più di origine pakistana, dormono in un magazzino freddo e insalubre, senza servizi adeguati. Secondo il sindacato, lo sfruttamento non è casuale, ma una conseguenza diretta di appalti al massimo ribasso. “Quando chiedi di produrre sotto costo, quel risparmio lo pagano i lavoratori, con condizioni indegne o evasione fiscale”, aggiunge Caudiero. Nonostante le difficoltà, lo sciopero prosegue a oltranza. “Questo sistema di sfruttamento è un cancro che rischia di espandersi”, avvertono i sindacalisti, che chiedono anche il supporto della cittadinanza.
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