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Lilt di Treviso, Gava lascia la presidenza: «Ho iniziato quando i tumori erano tabù»

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Tutto ebbe inizio da un gruppo di medici guidati dall’intuizione di voler seminare la cultura della prevenzione nella sfida della lotta contro il cancro. «All’epoca se ne parlava poco, quando andavamo a presentarci nei paesi molte persone erano scaramantiche, non volevano neppure pronunciare la parola tumore».

Era il 1978 e il dottor Alessandro Gava, all’epoca poco più che ventenne, giovane radioterapista specializzato in oncologia, fu tra i soci fondatori della Lilt, la Lega italiana per la lotta contro i tumori, contribuendo all’avvio della sezione di Treviso.

Poi, nel 1991, ne divenne presidente, il più giovane d’Italia. Seguì la nomina di primario della radioterapia del Ca’ Foncello, tenendo insieme l’esperienza clinica con l’impegno nel volontariato per la prevenzione oncologica.

Nel mezzo infinite soddisfazioni e l’orgoglio di aver fatto crescere in maniera esponenziale la Lilt della Marca portandola da una sessantina di volontari a quasi novecento.

Trentatré anni dopo, il dottor Gava saluta l’associazione trevigiana (oggi la nomina delle nuove cariche), lasciandone la presidenza per diventare coordinatore regionale Lilt.

L’occasione per congedarsi, qualche giorno fa, durante il tradizionale scambio di auguri con i volontari, che gli hanno tributato un lunghissimo applauso.

«Il mio è un saluto carico di emozione, perché insieme alla famiglia e al mio lavoro per oltre quarant’anni in ospedale, la Lilt ha costituito il terzo pilastro su cui ho costruito la mia vita e il mio impegno umano e sociale. Sono orgoglioso del lavoro e del cammino che abbiamo compiuto in questi anni, del consenso sviluppato attorno alla Lilt, della fierezza con cui ogni volontario svolge il suo ruolo» ha detto con gioia e commozione.

Com’è avvenuto il suo incontro con Lilt?

«È stato il professor Pietro Patrese, all’epoca primario di radioterapia oncologica al Ca’ Foncello, a volermi al suo fianco nel primo consiglio direttivo. Io ero appena arrivato in reparto, ma penso che le cose non siano avvenute per caso, mi affidò il compito della comunicazione. L’attività associativa mi appassionò fin da subito e nel 1991 mi trovai a guidare l’associazione. L’allora presidente nazionale il professor Giovanni D’Errico mi accolse con simpatia e via via ho ricevuto la stima e l’amicizia di tanti colleghi, anche dell’attuale presidente Francesco Schittulli».

Quale era il principale obiettivo della Lilt trevigiana ai suoi albori?

«Volevamo esplorare il campo poco praticato della prevenzione oncologica. A quel tempo tutte le attenzioni erano rivolte alla cura del tumore, ma delle azioni per contrastarne l’insorgenza, dei corretti stili di vita, degli screening, si parlava poco o nulla».

A chi vi siete ispirati?

«Abbiamo preso spunto da quanto si stava già facendo nei Paesi anglosassoni, abbiamo lavorato tanto per fare informazione. Inizialmente, ricordo che ai nostri incontri con la cittadinanza si respirava una certa titubanza, la parola tumore faceva paura, talvolta la malattia veniva vissuta quasi di nascosto. Piano piano le cose sono cambiate. Le persone hanno preso consapevolezza che la patologia va affrontata e curata, ma anche prevenuta. Grazie alla ricerca scientifica sono stati fatti passi da gigante, penso alla rivoluzione apportata dal pap-test, inventato da Papanicolaou per individuare il cancro del collo dell’utero, poi gli studi sul papillomavirus, oggi abbiamo il vaccino. Ma vorrei ricordare anche le campagne sui danni del fumo e le importanti campagne per la prevenzione del tumore al seno».

Ripercorrendo i suoi anni di presidenza, di cosa va più orgoglioso?

«Una scelta vincente è stata di aprire le delegazioni sul territorio, facendone dei punti di riferimento per la provincia grazie a dei responsabili e dei gruppi di lavoro locali che hanno permesso di ampliare il numero dei volontari, andando oltre i campanilismi. Nel fare questo ci siamo ispirati all’Avis, strutturandoci in maniera capillare. Oltre a Treviso, alla fine degli anni ’80 aprì la prima delegazione a Castelfranco, tra gli anni ’90 e il duemila, fu la volta di Conegliano, Montebelluna, Vittorio Veneto e quindi Oderzo. Fondamentale l’apporto di tutti i volontari e volontarie, penso al gruppo dei trasporti che ha sempre garantito l’accompagnamento dei pazienti, anche nel periodo più duro del Covid. Memorabile è stato anche il trasferimento della Lilt provinciale nella nuova sede di via Venzone. L’avvio della ristrutturazione coincise con l’inizio della pandemia, ricordo le preoccupazioni, ma anche l’entusiasmo nel portare avanti il progetto. Ci siamo riusciti grazie alla fiducia e al sostegno di tante realtà del territorio che ci accordano credibilità e fiducia».

Che augurio rivolge alla Lilt provinciale di Treviso per il futuro?

«Sono orgoglioso del lavoro e del cammino compiuto in questi anni, del consenso sviluppato attorno alla Lilt, della fierezza con cui ogni volontario svolge il suo ruolo, ringrazio i responsabili dei vari comitati della delegazione per l’importante lavoro di coordinamento e ogni singolo volontario che, con il suo impegno, ha permesso di raggiungere questi lusinghieri risultati».

Dopo di lei cosa succederà al timone dell’associazione?

«L’avvicendamento sarà all’insegna della continuità, non posso che augurare per il futuro di continuare tenendo fede ai principi di Lilt, senza rinunciare al coraggio di aprirsi a idee nuove».