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Einaudi e l’economia: un modo per fare la storia  in presa diretta

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A Trieste venerdì (sede dell’Università) si ricorderà la figura di Luigi Einaudi, che fu Presidente della Repubblica, economista, docente, giornalista e Governatore della Banca d'Italia. Una celebrazione di tre anniversari: i 150 anni dalla nascita dello statista, i 70 anni dalla laurea ad honorem conferitagli a Trieste e i 100 anni di UniTS.

«Migliaia, milioni di individui lavorano, producono e risparmiano nonostante tutto quello che noi possiamo inventare per molestarli, incepparli, scoraggiarli. È la vocazione naturale che li spinge, non soltanto la sete di denaro. Il gusto, l’orgoglio di vedere la propria azienda prosperare, acquistare credito, ispirare fiducia a clientele sempre più vaste, ampliare gli impianti, abbellire le sedi, costituiscono una molla di progresso altrettanto potente che il guadagno».

Come si evince da queste sue parole, il liberismo di Luigi Einaudi non è fondato su una cupa antropologia della natura umana che attribuisce il progresso sociale ed economico all’avidità degli imprenditori convertita, per mezzo dell’intervento di una provvidenziale “mano invisibile”, in strumento di promozione del benessere collettivo. Per Einaudi alla base delle motivazioni dell’agire economico si collocano una tassonomia di valori e obbiettivi che trascendono il puro guadagno monetario. Non più strumento passivo ed ignaro di un “progetto” sociale che essa ignora, la classe imprenditoriale è invece pienamente consapevole e fieramente responsabile del ruolo che le è stato assegnato.

Non è questo l’unico aspetto che mette in luce l’eccezionalità di una figura di economista come Einaudi. Oltre alla sua concezione di liberalismo e liberismo non sempre conformi all’ortodossia, pure la sua metodologia di ricerca sarebbe al giorno d’oggi considerata probabilmente questionabile sul piano scientifico. Forse Einaudi non sarebbe nemmeno considerato un vero “economista” da molti suoi colleghi odierni, il cui campo di ricerca include oramai “expertise” di natura estremamente tecnica, come la raccolta ed elaborazione sempre più sofisticate di dati.

Per Einaudi l’economia è invece una maniera per fare “storia in presa diretta” , ai fini di mettere a fuoco e comprendere i fenomeni reali, le loro cause e la loro evoluzione. Pure la sua intensa attività giornalistica, ben più di un hobby, ha rappresentato una straordinaria occasione per confrontarsi con i problemi concreti del paese ed ampliare i propri orizzonti di conoscenza. Einaudi rifiutò sempre l’idea che l’economista possa essere un “uomo scisso” fra il sapere tecnico da una parte, e le idee e convinzioni sul mondo dall’altra. Lo studioso per lui deve rimanere un uomo intero, organico, capace di fondere in un’efficace sintesi tutti i propri aspetti, sia pubblici che privati.

La sua lotta contro l’ingerenza nella vita dei cittadini da parte della burocrazia fu instancabile, anche se sostanzialmente ammantata di rassegnazione circa lo strapotere dell’apparato pubblico. Da Presidente della Repubblica, Einaudi scrisse abbastanza ma sostanzialmente senza mai pubblicare, principalmente per rispetto della carica. Ma non smise mai di ragionare come aveva sempre fatto.

Fedele ai suoi principi, riuscì a non essere mai un uomo scisso, ma il frutto della combinazione fra uomo di studi nel privato e uomo pubblico sempre neutrale.

*DEAMS, UniTS