La sicurezza dei dati personali, il grande assente del divieto di “self check-in”
C’è un aspetto meramente “estetico” e uno legato alla sicurezza pubblica. Ma non c’è alcun riferimento alla tutela dei dati personali degli utenti. L’ultima circolare inviata dal Ministero dell’Interno agli albergatori (anche agli host Airbnb) mette dei paletti che rappresentano, solo formalmente, uno stop alla dinamica del self check-in. Dunque, in vista (anche) dell’imminente Giubileo, gli albergatori dovranno controllare “de visu” i documenti d’identità dei loro ospiti (e inviare comunicazione, attraverso una piattaforma della Polizia di Stato dedicata), rendendo inutile l’invio telematico di queste generalità. Ma non c’è alcun divieto: si potrà chiedere, per velocizzare il processo, di inviare lo stesso i documenti online. Ed è qui il vero problema.
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Spesso e volentieri, noi di Giornalettismo ci siamo trovati a parlare di come e quanto molte piattaforme – anche quelle più utilizzate ogni giorno – non siano sicure al cento per cento. Per farla breve: tutto ciò che inviamo online rischia di finire nelle mani di qualche malintenzionato. Ma la circolare del Viminale – che non è altro che un’ulteriore interpretazione dell’articolo 9 del TULPS (Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza) non tratta minimamente questo argomento.
Stop al self check-in, ma ci sono delle lacune
Come abbiamo spiegato già in precedenza, la dinamica del check-in in formato telematico non è vietata. Viene, di fatto, reso vano l’utilizzo di questi strumenti digitali per l’invio e ricezioni dei documenti per l’accreditamento, obbligando i gestori di strutture ricettive a un controllo “fisico” del documento con un confronto – tra le tante cose – anche tra il volto della persona che si ha davanti e quello sul documento di riconoscimento. Però, come indicato in una circolare precedente, la modalità telematica può essere utilizzata per consentire
«agli ospiti di comunicare i propri dati prima di giungere nella struttura alberghiera».
Quindi, gli albergatori potranno comunque continuare a chiedere agli ospiti di inviare telematicamente i propri documenti via mail, via Whatsapp o attraverso alcune piattaforme. Ma si tratta di una soluzione sicura? Sicuramente le e-mail sono quelle più ad alto rischio per ospitare questi documenti (per questo, quando si parla di dati sensibili e generalità dovrebbe essere sempre preferita la PEC che ha degli standard di sicurezza e controllo più elevati), vista la storia recente che racconta di data breach di portata epocale. Stesso discorso per quel che riguarda Whatsapp: strumento utilissimo, ma non il più adatto per l’invio di documenti di questo tipo.
Ma quello che fa riflettere, oltre a un reale divieto di check-in in formato digitale, è che nella circolare del Viminale (così come nel TULPS) non si faccia riferimento alcuno alla sicurezza dei dati personali. Perché oltre alla pubblica sicurezza e all’esteticamente brutto fenomeno delle key-box, c’è anche questo tema che viene troppo spesso dimenticato.
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