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Dossier Orlandi. Finalmente il Vaticano ne ammette l’esistenza

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Nel mare di dubbi e depistaggi un elemento che appariva quanto mai possibile era quello relativo alla presenza di un dossier Orlandi in Vaticano. Quel fascicolo che sarebbe stata visto sul tavolo del noto padre Georg Ganswein, segretario e uomo di fiducia di Papa Benedetto XVI. Ora si ha l’ufficiale conferma che il dossier in Vaticano esiste. Quella cartella con la scritta Orlandi, oggetto di indiscrezioni e di reiterate istanze da parte di Pietro Orlandi, è stato finalmente trovato.

Lo dichiara il promotore di giustizia Alessandro Diddi, che aggiunge, come se si trattasse di una scoperta dell’ultim’ora, che occorrerà appurare se i documenti che contiene siano veri, allargando il discorso a cinque possibili piste del mistero Orlandi (con tanto di discorso su possibili azioni dirette in Vaticano) tutte da verificare.

Ma perché ora il Vaticano ammette l’esistenza di un fascicolo che conterrebbe non solo delle prevedibili relazioni su fatti che lo chiamavano in causa, ma su misteriosi documenti? Cosa riguardano questi documenti? Riferiscono di comportamenti di esponenti vaticani? In essi emergerebbero conferme di quell’incontro, più volte ribadito dal Procuratore Capaldo, con esponenti vaticani. Inviati che, alla richiesta di sistemare l’imbarazzante contesto legato alla tumulazione a Sant’Apollinaire del capo della banda della Magliana Enrico De Pedis, divenuto poi affidabile consulente dei porporati, avrebbero manifestato, senza far trapelare alcuna emozione, la loro disponibilità a riferire anche in merito al ritrovamento del corpo della povera quindicenne sparita nel nulla il 22 giugno 1983.

L’ammissione pubblica del promotore di Giustizia Diddi non poteva non dar corso alla replica, anche amaramente ironica, di Pietro Orlandi che, dal 2017 ha più volte richiesto in merito al dossier: “facciamo finta che lo abbiano trovato ora e che non stava in Segreteria di Stato dal 2012..”,  sottolineando l’importanza di questa tardiva ammissione, anche se il contenuto resta riservato, nella speranza che non venga modificato.

E’ da precisare come questo importante passo abbia avuto già un riscontro nel corso dell’audizione del 21  novembre dell’ex comandante della Gendarmeria Vaticana  Domenico Giani che , rispondendo in commissione bicamerale d’inchiesta sui casi Orlandi Gregori, riferì dettagli proprio sull’emblematico incontro del 2012, (fino ad ora mai ammesso), con l’ex procuratore aggiunto Procuratore Giancarlo Capaldo. Un incontro riservato, finalizzato ad ottenere un intervento pronto e risolutivo, sull’imbarazzante  tumulazione De Pedis nella basilica di sant’Apollinaire, per mettere fine alla pioggia di feroci critiche dirette alla Santa Sede.

Giani ha argomentato che si trattò di mere attività informative commissionate da padre Gerog Ganswein (in seguito allontanato come nunzio nei paesi baltici da Papa Francesco), non legate ad una inchiesta giudiziaria (la giustizia  Vaticana ha aperto ufficialmente un fascicolo sul caso Orlandi solo ad inizio 2023).

A parlare per primo dell’esistenza del dossier, una cartellina vista sulla scrivania di padre Georg, fu il maggiordomo Paolo Gabriele , finito nel vortice  delle cronache nell’ambito dell’inchiesta Vatileaks  legata alla fuga  di informazioni riservate della Santa Sede tra il 2012 e il 2015.

I tempi comunque “per svelare cosa conosce e cosa custodisce ufficialmente il Vaticano” non saranno brevi. Lo ha esplicitato lo stesso Diddi, precisando che si tratta di documenti riservati e che sarà quindi necessaria una rogatoria , trattandosi di carte presso uno stato estero fuori dalla giurisdizione italiana. Insomma il caso Orlandi, dopo 41, anni continua ad assicurare colpi di scena. La realtà, come ha espresso con franchezza Pietro Orlandi, è capire quanto quelle carte siano rimaste fedeli a quanto effettivamente riscontrato e documentato in tanti anni dietro le mura leonine. Carte che potrebbero rilevarsi importanti anche per smontare tesi come quella legata alle contestatissime spese mediche che sarebbero state   sostenute dal Vaticano per l’ipotizzata presenza di Emanuela Orlandi a Londra.   

In ogni caso si tratta di una svolta importante ma tardiva che apre facili critiche verso chi ha negato in passato ben tre richieste di rogatorie della Procura di Roma negli anni 90, in relazione a un dossier Orlandi  che , come precisa il giornalista scrittore Fabrizio Peronaci (autore di tre libri e infiniti articoli sulla vicenda) potrebbe dire molto sul ruolo di don Pietro Vergari. L’ex rettore di Sant’Apollinaire, indagato per concorso in sequestro di persona, che ebbe un ruolo chiave, insieme al potentissimo cardinal Ugo Poletti, nel rapporto amichevole con Enrico De Pedis. Un rapporto consolidato che portò, con la dispensa di Poletti,  alla tumulazione dell’ex boss della Magliana nella basilica di  Sant’Apollinaire e alla conseguente riservata iniziativa degli emissari del Papa verso il procuratore Capaldo. Un altro passo che ora verrebbe ufficialmente riconosciuto anche in Vaticano.

 E’ proprio a Sant’Apollinaire la povera Emanuela studiava musica fino al giorno della sua sparizione. E, nel mare di supposizioni, vi è chi ha anche ventilato che, dopo la sua sparizione, la ragazza fosse stata riportata proprio dentro le mura leonine.

Intanto lentamente, pezzo dopo pezzo, emerge una verità che in ogni caso vede il Vaticano coinvolto.

Ricordiamo che Emanuela era una cittadina vaticana (con una registrazione anagrafica avvenuta poco tempo prima della sua sparizione), figlia di Ercole Orlandi, messo pontificio, residente con la famiglia nella Città del Vaticano.  

Questo anche grazie al lavoro di una Commissione bicamerale che continua un iter che ha finalmente consentito l’ascolto di decine di testimonianze, alcuni dei quali stranamente ignorate per decenni dalle indagini (alcuni risultati anche oggi alquanto reticenti). Un quadro che permane complesso, su cui pesano le ombre di continui depistaggi, ma dove si aprono anche squarci di luce  in attesa che venga ascoltato anche il reo confesso Marco Fassoni Accetti. L’uomo che fece ritrovare il flauto di Emanuela che risulta a tutti gli effetti come telefonista per conto dei sequestratori nelle primi contatti con la famiglia Orlandi. Un personaggio che conosce molte cose e che sicuramente potrà fornire una serie di elementi importanti su cui però pesa il suo reiterato diniego a fornire, fino ad ora, il minimo dettaglio sui suoi sodali.

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