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Deposito nucleare, la Germania ha lo stesso problema dell’Italia: non esiste un sito idoneo, ma molti partiti spingono per il ritorno all’atomo

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Il deposito nazionale per le scorie nucleari è d’obbligo, ma il sito che deve ospitarlo non c’è. Problema esclusivamente italiano? No, la Germania versa nelle stesse identiche condizioni. E già questa è una notizia. Sono iniziati venerdì scorso, infatti, i lavori di riempimento della miniera di esplorazione nella salina di Gorleben (Bassa Sassonia), che per decenni è stata considerata la candidata migliore a diventare il deposito definitivo delle scorie nucleari tedesche. Sì, perché come Roma anche Berlino deve trovare un luogo idoneo che entro la metà del secolo possa ospitare in sicurezza i rifiuti atomici per almeno un milione di anni. La ministra dell’Ambiente Steffi Lemke (Verdi) si è impegnata con i cittadini delle regioni che ospitano i circa mille depositi temporanei ad accelerarne per quanto possibile l’individuazione. Per l’omologo (nonché compagno di partito) della Bassa Sassonia, Christian Meyer, la chiusura di Gorleben dimostra che è ormai chiaro come occorrano procedure partecipative per realizzare progetti controversi come lo smaltimento finale dei rifiuti radioattivi. La ricerca tedesca in realtà si prolungherà ancora per anni. Alla fine del 2027 la società federale per il deposito finale (BGE) proporrà diverse località, ma il sito, secondo la stessa BGE, non potrà essere definito prima del 2046. Una perizia dell’Öko-Institut di Friburgo, di cui scrive ARD, invece, suggerisce che non si avrà certezza di dove mettere le scorie addirittura fino al 2074.

Paese che vai stesso problema che trovi – Le cose in Italia non sono molte diverse. La Sogin ha prodotto una mappatura di 51 aree in 6 regioni per trovare il sito adatto, ma al momento l’unica certezza è la bocciatura della candidatura volontaria di Trino vercellese. L’iter è particolarmente complesso: il ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica (Mase) dovrà condurre sulle 51 aree una valutazione ambientale strategica (Vas); in 240 giorni gli enti territoriali, Sogin e l’Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione (Isin) dovrebbero pronunciarsi; successivamente in 15 mesi si dovrebbe svolgere l’analisi sul territorio, per poi realizzare il sito con tanto di parco tecnologico per la ricerca e lo studio sui rifiuti nucleari. Un cantiere da 900 milioni di euro, quattromila operai e quattro anni di durata. Tutto questo tempo però l’Italia non ce l’ha. E nel 2025 deve riprendersi tonnellate di combustibile nucleare depositato nel Regno Unito e in Francia, per non parlare del fatto che aumentano i rifiuti dello smantellamento delle centrali esistenti senza che possano essere stoccati.

Corsa al nucleare – Nonostante queste incertezze, però, una parte consistente del mondo politico guarda al nucleare come un asset vincente nella lotta al riscaldamento globale e per assicurare il fabbisogno energetico. In Germania così come in Italia. La AfD tedesca, ad esempio, ritiene che si debba tornare alle centrali nucleari. Il modello è quello di impianti modulari di potenza ridotta, gli small modular reactors (SMR), di cui ci sono diverse tecnologie (esiste un comitato europeo per favorirne le condizioni di utilizzo a partire dal 2030). Esperti affermano però che non sarebbero convenienti se non raggiungendo economie di scala di almeno 3mila reattori e non eliminano le scorie. Con l’espandersi delle rinnovabili, del resto, non servono impianti a funzionamento continuo come quelli nucleari, bensì centrali flessibili che possano sopperire quando sole e vento scarseggiano. L’altra ricetta è quella del BSW, che non si esprime in modo chiaro sul nucleare, ma è convinto dell’insufficienza delle rinnovabili e pensa che si possa rinunciare al traguardo della neutralità climatica entro il 2045 per riprendere l’importazione di gas e petrolio russi (mai del tutto scomparsi).

Cosa dicono gli altri partiti tedeschi – I Freie Wähler, FDP e la CDU/CSU pur non chiedendo espressamente nuove centrali nucleari, perorano la rimessa in funzione dei tre reattori spenti per ultimi. A tutti gli effetti un ritorno all’atomo, peraltro declinato dagli stessi vecchi gestori PreussenElektra e RWE. Anche per la BDI, la Confindustria tedesca, è uno spreco di tempo parlarne. Per fare marcia indietro occorrerebbero una modifica della legge sul nucleare da concordare in una ipotetica nuova coalizione; i gestori hanno poi un lauto diritto di smontaggio e per rinunciarvi vorrebbero cifre importanti; servirebbero nuovi pezzi – in particolare barre fissili – per poi superare test di sicurezza, affidati a nuovi gestori e personale addestrato. L’abbandono del nucleare fu deciso in Germania nel 2002 dalla coalizione SPD-Verdi e doveva essere completato nel 2021. Dopo l’incidente a Fukushima in Giappone nella primavera del 2011 i tempi furono accelerati anche se Angela Merkel nel 2010 aveva deciso di prolungare la vita delle centrali. L’attuale governo uscente ha decretato la chiusura delle tre che restavano, dopo che la loro durata in rete era stata prolungata ancora per qualche mese da Olaf Scholz, il 15 aprile 2023.

E in futuro? – Nonostante le divergenze, in un documento programmatico dal titolo “Nuova agenda energetica per la Germania”, CDU e CSU recitano: “Puntiamo a fare il più presto possibile un inventario tecnico per verificare se, data la fase di smantellamento, con uno sforzo tecnico e finanziario ragionevole sia ancora possibile riprendere l’esercizio delle centrali nucleari recentemente spente”. Markus Söder (CSU) chiede l’immediato stop allo smontaggio di Isar 2; rimetterla in esercizio, tuttavia, durerebbe almeno tre anni e costerebbe miliardi. Friedrich Merz (CDU) è scettico “che un rientro nell’era atomica riesca”, professa però un’apertura alle nuove tecnologie, puntando al contempo a elevare la tariffazione delle emissioni di CO2 per raggiungere la neutralità climatica nel 2045. Per Merz le rinnovabili sono solo fonti di transizione alla realizzazione della fusione nucleare. Nel documento programmatico il suo partito auspica che “il primo reattore a fusione in rete debba essere realizzato in Germania”. In realtà anche se l’impianto sperimentale Jet nel Regno Unito a febbraio ha ottenuto 69 megajoule da 0,2 mg di combustibile, ha comunque impiegato più energia di quella prodotta; e la tecnologia non sarà utilizzabile prevedibilmente prima della fine del secolo. Un’altra strada considerata più vicina, i reattori a trasmutazione che dovrebbero convertire i rifiuti a vita lunga in sostanze a vita breve o stabile, rendendole riciclabili in altri processi industriali, per lo stesso Hubert Aiwanger (Freie Wähler) sarà fruibile forse solo dopo il 2030. Con ciò anche il governo italiano spera in un futuro per l’atomo ipotizzando nel Piano Nazionale integrato Energia e Clima che potrebbe coprire l’11% del fabbisogno nazionale entro il 2050, proiettato al 22% in un mix tra fissione e fusione.

Il presente dice altro – Gorleben resta un monito per tutti. “Il riempimento è un segnale importante per la popolazione locale che si è opposta a lungo alla realizzazione di un deposito che non fu deciso scientificamente, ma imposto politicamente” ha commentato la ministra dell’ambiente Steffi Lemke (Verdi). Nel 1977 il governatore Ernst Albrecht (CDU) annunciò che la cupola salina sarebbe diventata un centro di smaltimento del materiale fissile con, tra gli altri, un impianto di ritrattamento di quest’ultimo e uno di stoccaggio finale. Centinaia di coltivatori della regione marciarono verso Hannover in una dimostrazione che riunì circa centomila persone contrarie. Albrecht dovette dichiarare la fine del progetto, ma l’esplorazione della miniera per farne un deposito definitivo delle scorie è continuata e a Gorleben furono estratte 400mila tonnellate di sale per fare spazio ai fusti. Quattro anni fa, nel settembre 2020, nel nuovo processo di ricerca lanciato per l’individuazione di un luogo idoneo, fu invece escluso che quello fosse un sito sicuro. Dopo un anno, il ministero federale dell’Ambiente dispose la chiusura di Gorleben. Per il riempimento si doveva partire da metà anno, ma l’Ufficio minerario della Bassa Sassonia ha concesso in ritardo l’autorizzazione e si cominciano ora a sigillare gli spazi cavi con 400mila metri cubi di sale. Ci vorranno tre anni per finire, impiegando dozzine di trattori che ogni giorno devono scaricare circa 40 container con 800 tonnellate di sale nelle gole e nei pozzi. A complicare le cose il sale è stato raccolto in un’area situata in un bosco poco distante: l’umidità lo ha compattato in blocchi duri come pietra che devono essere sbriciolati con delle frese. La chiusura dovrebbe essere completata nel 2031. Per riuscirci si lavorerà in tre turni lungo 24 ore fino alla fine del 2027, portando sottoterra 4 contenitori di roccia salina all’ora, e relegando la manutenzione di notte. Dopo la società federale per il deposito finale del materiale fissile (BGE) restituirà l’area alla società tedesca per il ritrattamento dei combustibili nucleari (DWK). Gorleben, infatti, resta ancora uno dei circa 1.000 siti di stoccaggio temporaneo e ci sono 113 contenitori di materiale fissile; tuttavia, il permesso di immagazzinamento vale solo fino al 2034.

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