Salvatores: “Così ho trasformato Trieste nella New York degli Anni ‘40”
«Per me questo film è una specie di rinascita, professionale e personale. Girarlo mi ha dato felicità». Così Gabriele Salvatores parla di “Napoli-New York”, la sua ultima opera con la quale è riuscito a trasformare sullo schermo Trieste nella Grande Mela, e a regalare al pubblico un cinema di grande visione e grandi sentimenti.
Il regista è in arrivo in Friuli Venezia Giulia: incontrerà gli spettatori questa sera, 29 novembre, a Pordenone, prima della proiezione delle ore 20.45 a Cinemazero, sabato 30 a Udine, alle ore 20 al cinema Visionario, e domenica 1° dicembre a Trieste, alle ore 18.30 al cinema Giotto.
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"Napoli-New York" è il sesto film girato da Salvatores in regione, sempre con il supporto della Friuli Venezia Giulia Film Commission – PromoTurismoFVG: una produzione importante che ha coinvolto più di 60 tra tecnici e maestranze locali con una spesa sul territorio di oltre 1,9 milioni di euro.
Scovando scorci particolari, e con l’aiuto degli effetti speciali, tanti luoghi di Trieste come Palazzo Carciotti, il Porto Vecchio, la Stazione Marittima, il Salone degli Incanti, lo stabilimento Stock a Roiano, la Chiesa di Sant’Antonio Taumaturgo diventano le strade di New York negli anni Quaranta.
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La storia, tratta da un soggetto di Federico Fellini e Tullio Pinelli, racconta infatti di due bimbi napoletani, interpretati dagli straordinari Dea Lanzaro e Antonio Guerra, che nel dopoguerra emigrano a New York da clandestini su una nave, aiutati dal commissario di bordo Pierfrancesco Favino, «capace di passare dalle scene drammatiche a una comicità che si rifà a quella delle commedie all’italiana degli anni ’50 e ‘60 con Sordi, Gassman, Tognazzi».
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Salvatores, sentiva la voglia di tornare al grande cinema di immagini e sentimenti?
«È un film classico un po’ come quelli che, quando andavo al cinema da ragazzo, mi hanno fatto venire voglia di fare questo lavoro. Abbiamo girato con obiettivi vintage anamorfici come quelli che si usavano una volta, con colori che si avvicinano ai film in Technicolor e quasi tremila comparse in abiti originali degli anni ’40 che abbiamo recuperato in Spagna da collezionista di vestiti di tutte le epoche».
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Com’è riuscito nella magia di trasformare Trieste in New York?
«Abbiamo usato una tecnica mista, girando fino a 4 metri di altezza con scenografie reali e dai 4 metri in su con l’intervento degli effetti speciali digitali: è uno dei primi esperimenti simili in Italia. Nel film c’è anche Rijeka, dov’è ambientata Little Italy: il suo Porto Vecchio e quello di Trieste ricordano molto il porto di New York e certi quartieri di allora. Trieste poi ha molti edifici neoclassici che ci hanno aiutato. La Chiesa di Sant’Antonio, per esempio, è una copia in piccolo del Tribunale di New York. Per i triestini sarà anche un gioco riconoscere i diversi posti, ma molti da fuori mi chiedono se siamo stati davvero a New York».
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Come ha fatto suo il soggetto originale di Fellini e Pinelli?
«Fellini l’ha scritto prima di elaborare da regista la sua poetica particolare, onirica e surreale: è una storia molto classica che assomiglia quasi più a un film di De Sica. Ci ho ritrovato molte cose che facevano parte del mio immaginario e del mio cinema: il viaggio, la scoperta di un posto nuovo, il romanzo di formazione e soprattutto i ragazzi, con i quali amo lavorare».
“Napoli-New York” ci ricorda che, un tempo, gli emigrati eravamo noi italiani, ma racconta anche come l’America sia stata per molti anche una terra di promesse infrante…
«Fellini e Pinelli allora non ci erano mai stati, per loro era una sorta di paese delle meraviglie come agli occhi dei bambini protagonisti che vedono i grandi cartelloni pubblicitari che “vendevano” il sogno americano. Oggi, soprattutto dopo le ultime elezioni, sappiamo che il sogno si sta trasformando più in un incubo. Il film non dà lezioni ideologiche ma tocca temi ancora molto attuali. Ha comunque un fondo di ottimismo importante: in questo momento pieno di egoismi, diffidenze e odio, fare un film che parla di solidarietà mi sembrava quasi provocatoriamente rivoluzionario». —
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