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Il sindaco Giordani a metà mandato: «Stazione e infrastrutture per il futuro di Padova»

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«Guardi qui, non si può certo dire che il mio successore troverà i cassetti vuoti». Sergio Giordani si alza dal tavolo e apre il pesante armadio che si trova alle sue spalle. Indica platealmente i faldoni con i dossier più importanti per il futuro della città. Arrivato a metà del secondo mandato, un sindaco deve anche iniziare a pensare al suo lascito, alle opere che non inaugurerà, ai progetti lasciati in eredità al successore. «Nuovo ospedale, nuova stazione, nuova questura: ce ne saranno di nastri da tagliare. Ne sono orgoglioso, non perché ci sia il mio timbro ma perché Padova sta crescendo e diventando una città migliore».

Poi però c’è da pensare anche alla politica perché tra un anno – dopo le regionali – saremo già in campagna elettorale: «Il modello di questi anni è quello vincente – avverte il primo cittadino – Un centrosinistra unito allargato ai moderati».

Sindaco, che bilancio può tracciare di questa prima metà del suo secondo mandato?

«Abbiamo fatto tantissimo. E dico abbiamo perché ho una squadra di ottimi assessori e uno staff che mi supporta nelle scelte: da Massimo Bettin a Roberto Tosetto, e poi Jessica Canton, Franco Tanel e Fiorita Luciano. Non yesmen, ma persone che mi supportano nelle scelte. Alla mattina vengo in municipio volentieri, perché mi piace questo lavoro. Ho imparato molto in questi anni e ho anche cambiato idea».

Su cosa?

«Penso che chi faccia politica debba essere pagato in maniera corretta. Non lo dico per me, ma per i tanti che si impegnano con costanza per il bene comune, come i sindaci in Provincia. E penso anche che serva una legge per il finanziamento dei partiti».

Perché dice questo?

«Per slegare l’impegno civico dalla continua ricerca del consenso. In questo secondo mandato sono più libero di pensare a quello che serve alla città. Sono orgoglioso di aver portato a termine l’operazione dell’auditorium al Pollini e all’Mpx, anche se mi dicevano che la musica a Padova non porta voti».

Se è per quello, neppure i cantieri del tram portano voti. Tutt’altro…

«L’avete scritto voi: Padova è in testa alle classifiche sulla qualità della vita, ma c’è un indicatore che ci trascina verso il basso: quello del Pm10. Nessuno mi obbligava a farlo, ma il tram è una rivoluzione che cambierà la città e migliorerà anche la salute dei suoi abitanti. Un mezzo che porterà 20 milioni di passeggeri, puntuale e veloce. La differenza è tutta qui: chi va a prendere il bus guarda gli orari, con il tram si va alla fermata e si sa che in pochi minuti un mezzo passerà».

Il prossimo anno però sarà molto pesante perché entreranno nel vivo anche i cantieri del Sir2 da Chiesanuova, al centro fino a Padova Est.

«So bene che il commercio è in difficoltà, ma troveremo il modo di aiutare i negozianti. Per Natale non ci sono cantieri impattanti e lanceremo iniziative sulla mobilità per portare più gente possibile in centro».

I negozi hanno beneficiato in questi anni del boom del turismo. L’altra faccia della medaglia è stata però la pesante crisi abitativa con un mercato degli affitti drogato dalle locazioni turistiche. Come intende intervenire?

«È un problema gravissimo che non riguarda solo gli studenti. Anche il poliziotto, l’operaio e il medico non trovano casa a Padova. Stiamo lavorando a delle soluzioni che è prematuro anticipare».

Però Padova rischia di perdere il talento di tanti fuori sede.

«Padova è uno dei centri più avanzati in Italia per co-housing tra anziani e studenti: è una sperimentazione di successo. E poi abbiamo lavorato con molti fondi immobiliari interessati a costruire studentati: in due anni saranno realizzati migliaia di posti letto. Ma dopo via Anelli non ci fregano più: abbiamo messo norme rigidissime per evitare che si trasformino in luoghi degradati».

Ha cambiato idea anche sull’immigrazione?

«No, però penso che vada gestita perché la nostra natalità è a zero. Le politiche dell’immigrazione servono alle nostre imprese: invece di spendere un miliardo e portarli in Albania vanno formati nel loro Paese e poi portati qui. Il Cuamm è un esempio importante, che parla alla politica: sta lavorando per formare i medici lì in Africa».

Parlando di sociale, in queste settimane lei è alle prese con il bilancio più difficile del suo mandato, quello in cui dovrà alzare le tasse. Non c’erano altre soluzioni?

«Gli anni scorsi il bilancio preventivo si faceva con un paio di riunioni, quest’anno ci abbiamo messo due mesi e mezzo. Oggi ci mancano 9,8 milioni più altri 4 per il personale. Abbiamo fatto una spending review interna, ogni settore ha tagliato qualcosa. Ma mai al mondo taglierei il sociale: abbiamo fatto i salti mortali per garantire servizi ai più fragili. E c’è un’altra cosa su cui mi impegno, perché me lo chiedono i cittadini: le manutenzioni di asfalti e marciapiedi. Spero con l’assestamento di recuperare nuove risorse. Certo non mi piace che qualcuno dica “siamo bravi, non alziamo le tasse” e poi scarica sui Comuni. Per questo tutti i sindaci sono arrabbiati, da sinistra a destra».

Guardiamo al futuro. Dopo il tram, l’altra grande opera che cambierà Padova sarà la nuova stazione con l’arrivo della Tav. Con Ferrovie l’interlocuzione non è facile ma è necessario un progetto che possa davvero realizzare quella ricucitura tra Arcella e centro di cui si parla da anni. Lei come sta lavorando in questo senso?

«Ho chiesto a Ferrovie di fare presto, ora che il nodo di Vicenza è stato superato. In più noi abbiamo lavorato in questi mesi alla sistemazione di Pp1 ed ex Ifip, la stazione è il tassello che manca».

Cosa le hanno risposto?

«È stato dato incarico a Stefano Boeri di ridisegnare l’area frontale e quella dell’ex edificio pacchi in viale della Pace. E poi sarà rifatta anche la stazione per intero. Entro qualche mese Ferrovie presenterà il progetto alla città».

Lei lo ha visto?

«Sì, e abbiamo fatto le nostre osservazioni. Sarà realmente bifacciale, con un ingresso all’Arcella perché l’Alta velocità passerà nei binari esterni: 10 e 11. Ci sarà la passerella per ricucire la città, con una parte commerciale e il passaggio ciclabile. Un’operazione che si realizzerà nei prossimi cinque anni».

Dal punto di vista delle infrastrutture a Padova restano delle criticità enormi: il grande raccordo anulare, l’Arco di Giano, la viabilità nord, l’accesso a sud da Albignasego. Tutte opere che richiedono grossi investimenti. Cosa lascerà al suo successore?

«Oggi tutti vogliono il Gra, ma è stato fatto un errore enorme nel passato: se fosse stato realizzato quando lo volevano Casarin e Zanonato oggi avremmo molti meno problemi. Adesso stiamo cercando con i tecnici della Provincia di trovare delle alternative chirurgiche per la viabilità della zona ovest, perché non è più tempo di consumare suolo. Sull’Arco di Giano sto lavorando direttamente con il governo, perché è un’opera di rilevanza nazionale. Sulla 308 e gli accessi in città lavoriamo con la Regione. Non credo saremo in grado di risolvere tutto, ma almeno iniziamo ad affrontare i nodi. Le ripeto: il mio successore non troverà i cassetti vuoti».

Si dimostra una volta di più la necessità di politiche di area vasta. Messe insieme Padova, Treviso e Venezia sono la terza area produttiva d’Italia, ma sembra mancare una visione d’insieme.

«In un mondo ideale sarebbero necessarie fusioni tra i Comuni più piccoli e città metropolitane. Ma è impossibile superare i campanilismi. Serve una scelta politica nazionale, con più fondi e una legge che preveda la creazione di aree metropolitane».

Parliamo di politica, questo secondo mandato è stato più turbolento del precedente. Ha perso alcuni consiglieri come Tarzia e Pillitteri. Non teme possano esserci problemi di stabilità della maggioranza da qui alla fine del mandato?

«Sono tranquillissimo sulla solidità della maggioranza. Li incontro una volta al mese e tutti mi aiutano e danno consigli. Ognuno ha le sue idee e le diversità sono importanti, ma tutti mettono al primo posto l’interesse della città. Sfido chiunque ad avere una maggioranza così ampia e così serena. Credo sia un caso quasi unico in Italia».

Tra un anno sarà già tempo di decidere chi si candiderà a prendere il suo posto. Ritiene di dover indicare un suo possibile successore? Darà una mano al centrosinistra in campagna elettorale?

«Per prima cosa vorrei dire che farò il sindaco fino all’ultimo giorno. Poi sono pronto a dare una mano da soldato semplice. È prematuro dare indicazioni nominali sulle candidature, ma la formula non può che essere quella del centrosinistra unito allargato ai moderati. Poi sono certo che le forze della mia maggioranza sapranno fare anche scelte lungimiranti. In 10 anni la città è cambiata, deve cambiare anche la nostra proposta politica».

Un’ultima domanda più personale: il suo mandato ha rischiato di non iniziare neppure se quella sera dell’ictus non ci fosse stato un medico in sala a salvarle la vita. Cosa le ha regalato e cosa le ha tolto questa esperienza da sindaco?

«Fare il sindaco mi ha aiutato a guarire. Quella sera in stroke unit ero devastato dalle responsabilità, ho passato la notte in bianco. Non riuscivo a parlare, non sapevo se e quanto avrei recuperato, ero pronto a fare un passo indietro. Poi sono venuti Massimo Bettin, Flavio Zanonato e Diego Bonavina: è stato importante sentire la loro fiducia e quella dei miei familiari. Candidarmi e poi fare il sindaco mi ha aiutato a superare quella fase e a concentrarmi sulla guarigione. La sanità padovana è fantastica dal punto di vista professionale e umano, l'ho sperimentato sulla mia pelle. Per questo tengo tanto al nuovo ospedale e alla Pediatria».

A qualcosa avrà dovuto rinunciare, però.

«Non ho più messo piede nella mia azienda. Ma per fortuna ho mio fratello Carlo e i miei soci stanno facendo un ottimo lavoro. E ho tolto tempo alla mia famiglia, che per fortuna capisce quanto mi piace lavorare per la città. Faccio errori, come tutti, ma mi impegno per Padova. Per questo l’unità è importante: bisogna evitare sterili contraddizioni e lavorare insieme per il futuro».