Necessità e simbolo: le fontane di Trieste tra acqua e luci
La storia delle grandi fontane monumentali di Trieste parte dalla necessità concreta di portare l’acqua corrente ai cittadini, assecondando la sete di una città in rapida crescita. «L’acqua fatta scorrere anticamente dai Romani fu nuovamente restituita alla città e al mondo imperando gli augusti Maria Teresa e Francesco» è l’iscrizione, presente sulla cornice del Capofonte di San Giovanni, unica testimonianza della riapertura dell’acquedotto di Montevecchio. E proprio le fontane di Trieste furono, tre secoli addietro, la visibile rappresentazione di quest’acqua che tornava a scorrere nella città, dopo secoli di utilizzo di pozzi e sorgenti locali. In tal senso una mappa delle fontane di Trieste segna la trasformazione, evidente specie nel secondo dopoguerra in poi, del manufatto “fontana” in un oggetto ornamentale.
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Le prime tre fontane
Le prime tre fontane costruite a Trieste corrispondevano infatti ad altrettanti allacci all’acquedotto teresiano: dalla via delle Cave, all’epoca sede della chiesa dei Santi Giovanni e Pelagio, il flusso percorreva la contrada non a caso dell’Acquedotto e infine concludeva il suo passaggio nella fontana di piazza Ponterosso, del Nettuno in piazza della Borsa e infine dei Continenti in piazza dell’Unità d’Italia. Non a caso l’autore delle sculture – il bergamasco Giovanni Mazzoleni – e l’arco di realizzazione, dal 1751 al 1755, sono identici.
La fontana dei Quattro Continenti
La fontana dei Quattro Continenti presenta tutt’oggi una composizione scultorea molto articolata, ancorché un po’ confusa: invece di adottare il gusto barocco all’epoca imperante, si preferì declinare il tutto in chiave naturalistica, di derivazione inglese, con un gusto primitivo nell’utilizzo delle grandi pietre.
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Una Fama alata annuncia la nascita del porto nuovo; sorvola a propria volta una femminile Trieste che stringe la mano di un mercante che rappresenta l’Oriente e le sue ricchezze. Le statue dei quattro continenti affiancano la “matrona” Trieste, ciascuno accompagnato da un animale simbolo. Quest’ultimi esibiscono code e grugni ben diversi dalle figure settecentesche a cui fanno la guardia; la pietra stessa appare diversa.
Nel 1927 il pittore Cesare Sofianopulo azzardò l’ipotesi che fossero sculture medievali incorporate nella fontana cannibalizzando precedenti monumenti della piazza. Il leone, ad esempio, è molto simile a quelli, di marmo rosso, che sorreggono il protiro della chiesa di San Zeno a Verona. L’acqua, grande elemento assente nell’odierna fontana, scorreva invece tra settecento e ottocento: quando venne inaugurato il lazzaretto di Santa Teresa (1769) riversò per il popolo vino bianco e rosso.
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Gli attacchi
Nonostante il suo ruolo centrale per la storia di Trieste, la fontana è stata oggetto di molteplici attacchi polemici: la giunta liberalnazionale avrebbe desiderato rimpiazzarla, a inizio Novecento, con una statua di Dante; nel 1925 il Consiglio comunale aveva deliberato all’unanimità di demolirla e solo un’infuocata campagna del Piccolo, condotta dal fior fiore dei letterati triestini, salvò il manufatto; e nel 1938, a seguito della visita di Mussolini, la fontana fu smontata e conservata nel deposito. Passarono oltre trent’anni prima che venisse ricollocata nella piazza (4 giugno 1970), sebbene in una posizione laterale e decentrata. Oggigiorno la fontana, a seguito della risistemazione della pavimentazione a inizio duemila, è di nuovo in linea con la colonna di Carlo VI e con palazzo Pitteri.
La fontana del Giovanin
L’ampio spiazzo creato con la realizzazione del Canale Grande impose la realizzazione di due fontane, su entrambi i lati dell’odierna piazza del Ponterosso: se ne realizzò alla fine solo quella detta “del Giovanin”, volta ad approvvigionare gli abitanti del nuovo Borgo Teresiano.
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Il nome è un epiteto triestino poi divenuto menzione accademica, perché il bambino intento a correre è in realtà un genietto fluviale. Tuttavia il nomignolo derivava dalla fonte dell’acquedotto stesso, San Giovanni. Un tempo, quando le “venderigole” avevano il proprio mercato nella piazza, durante la festa del 24 giugno, decoravano con fiori freschi il giovinetto.
La fontana, restaurata ancora nel lontano 1947, non zampilla più acqua da tempo e, per il cattivo stato di conservazione, era stata oggetto degli strali del critico d’arte Daniele Radini Tedeschi.
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Piazza della Borsa
La seconda fontana omessa presso il Canale trovò invece forma in una piazza della Borsa dove, nel 1753, era ancora assente il palazzo della Camera di Commercio e dove invece il canal Piccolo si protendeva dal mare fino al vecchio ghetto. Con una scultura beneaugurante verso il commercio della città-porto, la fontana è il doppio di un identico manufatto presente nell’odierna piazza della Vittoria a Gorizia. Smontata col pretesto che “costituiva un forte ingombro alla viabilità” nel 1920, la fontana fu poi rimessa in piazza Venezia nel 1951 e infine ricollocata nella sua posizione originaria nel luglio 2010.
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La fontana dei Tritoni
La distanza dalla fontana del Ponterosso è breve, ma a livello temporale intercorrono oltre un secolo dalla vicina fontana dei Tritoni, collocata nella piazza Vittorio Veneto. Costruzione fortissimamente voluta dal Comune di Trieste onde impedire la collocazione di una statua dell’imperatore Francesco Giuseppe, la fontana dei Tritoni è non di meno un esempio di scultura muscolare che cita la rudezza di Rodin.
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La giunta filoitaliana assoldò però un altoatesino – Franz Schranz – che realizzò una grande conchiglia sorretta da due tritoni e una nereide. La fontana, in buon stato di conservazione, è tra le poche ad avere un getto d’acqua potente, sebbene il dialogo architettonico con la piazza postmoderna sia assente.
A Montuzza a forma di fascio
Sollevando invece lo sguardo verso la Scala dei Giganti, la fontana di Montuzza conserva ancora l’originaria forma di un fascio: manufatto incompleto e temporaneo, perché pensato solo per la visita del Duce nel 1938. L’obelisco oggigiorno presente è solo la struttura interna di un fascio littorio di enormi dimensioni, poi non realizzato: ciò non di meno la fontana sopravvisse alla seconda guerra mondiale, e nelle sue odierne forme brutaliste continua a illuminare la sommità del colle nelle ore serali.
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Le altre fontane
La città, dal secondo dopoguerra, ha continuato a inaugurare nuove piazze e nuove fontane; sebbene il monumento abbia ormai soppiantato la funzione pratica. Costruita nel 1963, la fontana “luminosa” della pineta di Barcola era progettata con una molteplicità di zampilli, ciascuno accompagnato da lampadine colorate: oggi ne sopravvive solo il getto centrale.
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La fontana del passeggio di Sant’Andrea accentua invece l’aspetto ludico: i zampilli d’acqua, pensati nell’avvallamento, sono la gioia di cani e bambini.
Tenta una lettura tradizionale, ma tradita dal materiale moderno la fontana dei Mascheroni: costruita nel 2004 a inizio del viale XX Settembre presenta la classica figura di Giano, ma realizzata con un lucente alluminio. —
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