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Suocera dona il rene alla giovane nuora: «La sua mamma non c’è più, tocca a me»

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«Lei la mamma non ce l’ha più, quindi adesso sono io la sua mamma». Con queste parole una 64enne padovana ha spiegato ai medici la scelta di donare un rene alla nuora 35enne.

A sfatare le dicerie che da sempre accompagnano i rapporti tra nuora e suocera, i dati della Chirurgia dei trapianti di rene e pancreas dell’Azienda Ospedale Università diretta dalla professoressa Lucrezia Furian: già due quest’anno le suocere che hanno scelto di donare il rene alla nuora. La seconda, una 70enne napoletana, a favore della 46enne moglie del figlio.

Padova, già centro leader per la donazione da vivente, con il 50esimo trapianto di martedì 19 novembre si appresta a battere il suo stesso record.

«In Italia di circa 2.200 trapianti, il 10% è fatto da vivente, mentre qui sui 200 totali siamo a una media di 50» rivela Furian. La maggior parte dei trapianti da vivente coinvolge persone con un legame affettivo: quest’anno, 5 erano papà che hanno donato ai figli e 9 mamme. Ancor più significativo il numero delle donazioni tra coppie. «Sono 14 le mogli che hanno donato al marito, sei a parti invertite» prosegue Furian «poi abbiamo avuto 12 interventi tra fratelli, ma le due suocere testimoniano l’esistenza di un sentimento di famiglia allargata. Ma in passato abbiamo avuto anche casi di donazione in presenza di legami di amicizia molto forti».

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La metà dei casi arriva da fuori regione: tra questi, 8 dalla Campania e 4 dalla Lombardia. Quest’anno eseguiti anche due trapianti Kdp (Kidney paired donation) che consiste nell’incrocio di donazione tra coppie altrimenti incompatibili. «Per far fronte a incroci più complessi, invece, nel 2018 Padova ha sviluppato, prima al mondo, il programma Deck che mette insieme la donazione da deceduto con i programmi di Kdp. Se c’è un rene di buona qualità da donatore deceduto, viene allocato in priorità nazionale a una persona che avrebbe un donatore vivente ma con il quale è incompatibile. Il suo donatore donerà comunque a uno dei riceventi in lista d’attesa: in questo modo si possono creare delle catene. Da allora sono già stati fatti più di 80 trapianti utilizzando una trentina di organi da donatore deceduto, alcune catene sono ancora in corso. Con un donatore deceduto si fanno tre trapianti perché si sbloccano coppie altrimenti incompatibili».

In questo scenario, il tema dell’incompatibilità assume una connotazione diversa. «Nove dei trapianti fatti quest’anno avevano un problema di incompatibilità sanguigna, ma ormai questa è superata» chiarisce «la questione è quella della compatibilità genetica legata all’Hla, il sistema maggiore degli antigeni: in questi casi la desensibilizzazione ha meno successo».

A incentivare la donazione tra viventi, il lavoro con le nefrologie: a dicembre in programma un corso con gli infermieri del settore che lavorano a stretto contatto con i pazienti. In Azienda, l’equipe della professoressa Furian dedica due giorni a settimana per valutare le coppie per il trapianto da vivente con una lista dedicata. Un sistema ormai oliato che prevede il coinvolgimento di una Commissione di parte terza, un magistrato e gli psicologi ospedalieri che valutano due volte sia il donatore che il ricevente, prima separatamente e poi insieme per capire la qualità della relazione.

«Non si tratta solo di accertarsi che non ci sia un interesse di qualunque tipo, ma soprattutto che la donazione sia un atto migliorativo per entrambe le persone coinvolte. Solo una volta il trapianto è saltato: non era chiaro il legame affettivo tra il donatore e la ricevente per cui si è deciso di non procedere. Alla fine la paziente ha ricevuto il rene dal marito che, nel frattempo, ha superato tutte le sue paure».

Nella maggior parte dei casi di trapianto da vivente, il paziente arriva già con il potenziale donatore. Diversamente, soprattutto in condizioni di particolare gravità, i medici informano della possibilità di coinvolgere un familiare, fermo restando l’accesso alla lista da donatore deceduto. Nel 20% dei casi, i potenziali donatori vengono stoppati da un check up che rivela una malattia non ancora conclamata.

Il donatore più anziano a Padova aveva 78 anni. Spesso, in presenza di bambini, a offrire l’organo è un nonno, laddove i genitori potrebbero servire più avanti per un nuovo intervento: «Abbiamo una donna di 44 anni al quinto trapianto» rivela Furian. Recentemente dimesso anche un giovane, poco più che ventenne, affetto fin dalla nascita da una patologia malformativa particolarmente complessa – con un’ alterazione di colonna vertebrale e arti inferiori – e la prospettiva di finire in dialisi: «L’anatomia dell’addome era completamente sovvertita» racconta Furian «abbiamo studiato il suo caso da luglio e un paio di settimane fa ha ricevuto un rene dalla mamma».

Il trapianto consente un’aspettativa di vita più lunga di quanto non faccia una dialisi prolungata: «Restituisce qualità della vita e normalità a tutta la famiglia» conclude Furian «dopo l’intervento vado dal donatore a dirgli com’è andata e spesso questi si commuove e mi ringrazia. Ma una cosa che ho imparato dal mio predecessore, il professor Rigotti, che mi ha lasciato la bellissima eredità del trapianto da vivente, è rispondere “l’unica persona ringraziare lei”.

La chirurgia dei trapianti ha questo aspetto magico: da donatore deceduto fai tornare in vita qualcosa che vita non aveva più, mentre quando fa il trapianto da donatore vivente sei strumento di un grandissimo gesto d’amore».