NBA Freestyle | Né il fisico né la classe: è la superiorità mentale che rende LeBron James ‘Il prescelto’
LeBron James, il “prescelto”
Il passaggio a una mano dal palleggio con cui ha servito Hachimura sul perimetro, nella vittoria su Memphis, è degno del miglior John Stockton. Per visione di gioco, tempismo, capacità di metterla sulla mano giusta del tiratore. Fa specie, tra l’altro, vedere che qualche azione dopo quello stesso abile passatore vada spalle a canestro con gran presenza fisica e si giri sul perno per concludere in appoggio di tabella, sfruttando il mismatch contro Wells. Una completezza di gioco da primato nella storia. Questo è LeBron James. Un concentrato ben amalgamato di fondamentali, fisico, cura del corpo. Un giocatore che, ancora oggi, all’età di 40 anni, non insegue individualmente nessuno. Sta sempre lì, tra i migliori. Le triple-doppie consecutive sono 3. Non sono tanto le cifre a far alzare il sopracciglio. E non è solo la capacità del fisico di sopportare (quasi) indenne tutte queste stagioni NBA. È la superiorità mentale a impressionare. Perché ci vuole superiorità mentale per avere ancora la capacità di rimanere a quei livelli e trovare stimoli, dopo che non hai più nulla da dimostrare. Fin dai tempi del liceo, lo hanno sopranominato Il prescelto. Se ci si chiede per cosa, per quale motivo lo abbiano (pre)scelto fin dalla tenera età, la risposta è: per questo, proprio per tutto questo.
Wembanyama: 50 in 26 minuti
Nella vittoria degli Spurs su Washington c’è stata la diffusa sensazione di aver assistito alla realizzazione di tutto ciò che si era sempre fantasticato su Victor Wembanyama. Un giocatore che è il primo della sua specie. Il francese ne ha fatti 50 (in soli 26 minuti di gioco), tirando da tre un clamoroso 8 su 16 tentativi. Ha segnato da ogni parte del campo. Anche da dove, tendenzialmente, un 2.24 non si dovrebbe trovare. Come quando ha messo una tripla dai nove metri perché il suo avversario, il rookie Sarr, ha pensato bene di battezzarlo, ritenendo la distanza proibitiva. O come quando, sempre contro Sarr, il centro di San Antonio lo ha puntato in uno contro uno e dopo un cambio di direzione tra le gambe gli ha tirato in testa, trovando un angolo di tabella difficile anche da pensare con quell’angolazione. Wemby, tra l’altro, sembra migliorato in questa stagione sull’uso del perno anche nelle situazioni dinamiche, quando trova il centro aria e cerca di creare separazione per un appoggio o un semigancio. Permetterà tutto ciò agli Spurs di andare ai playoff? Probabilmente, no. Staremo a vedere. Per il momento, tuttavia, sono con il 50% di vittorie. Il che, con quel roster e senza coach Popovich, non era così scontato.
Il problema dei Bucks?
Qual è il problema di Milwaukee? Difficile a dirsi. Ma si fatica a credere che una squadra con Antetokounmpo e Demon Lillard stazioni nei bassifondi della Eastern Conference (4 vittorie e 8 sconfitte). Il greco, qualche sera fa, nella vittoria contro Detroit, ha dato ancora una volta prova della sua capacità di essere virtualmente non marcabile se ha mezzo passo in anticipo sul difensore nelle situazioni dinamiche. Per lui, ben 59 punti e alcuni giri sul perno talmente rapidi da cambiare la rotazione terrestre. Ma le cose non stanno andando per il verso giusto. Manca Middleton, infortunato, che toglie un 3&D (tiro da fuori e difesa) in grado di dare equilibrio all’attacco e di prendersi responsabilità offensive come terza bocca di fuoco. Senza di lui, il perimetro perde pericolosità, perché Brook Lopez, Bobby Portis e Trent Jr stanno tirando maluccio. In più, l’alternanza in campo tra la superstar greca e l’ex Portland – per avere sempre un primo violino in campo – non sembra funzionare alla perfezione. La strada è ancora lunga e ogni giudizio definitivo è troppo affrettato. Però, c’è da dire, ci si aspettava di più.
That’s all Folks!
Alla prossima settimana.
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