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COP29 a Baku: arrivano pure i talebani, l'Italia spinge per un mix energetico

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La conferenza internazionale sul clima 2024, o COP29 – da Conference of Parties – ovvero la riunione annuale dei Paesi che hanno ratificato la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, si sta svolgendo in questi giorni a Baku, per la prima volta in Azerbaijan. Le aspettative concrete sono poche, ma ha certamente fatto notizia quanto dichiarato dal premier spagnolo Sanchez riferendosi a quanto accaduto a Valencia: “Il cambiamento climatico uccide, occorre agire ora”. E se da un lato c’è l’impegno della Cina a ridurre le sue emissioni, dall’altro si attende una dichiarazione di Trump, che mentre lo spoglio delle schede procedeva già aveva detto di voler uscire dagli Accordi di Parigi.

Ma a Baku ha subito fatto discutere anche la partecipazione dei talebani: Matuil Haq Khalis, rappresentante dell’agenzia afghana per la protezione dell'ambiente, ha chiesto il sostegno della comunità internazionale, che negli ultimi tre anni aveva escluso il regime islamico dall’evento. Haq Khalis sostiene che l’Afghanistan è tra le nazioni del mondo più vulnerabili per intensità delle alluvioni e alternanza con lunghi periodi di siccità, e che l’aiuto delle Nazioni Unite, che si concretizza con progetti di sostegno all’agricoltura, copre soltanto un terzo delle zone coltivabili; quindi, avanza la richiesta di un intervento della comunità internazionale. Ma a tre anni dal ritorno al potere, l’Emirato islamico ha ancora un governo privo di riconoscimento ufficiale da parte dell’Occidente, anche se, ormai, è accettato dalla politica regionale nonostante permangano le discriminazioni di genere, oggi del tutto istituzionalizzate, ed è sempre più grave la crisi umanitaria, aggravata da un’economia fragile.

Le reazioni non si sono fatte attendere, così Joanna Depledge, delegata inglese dell'Università di Cambridge, ha posto una questione sull’opportunità che alla COP29 partecipino “un'intera schiera di stati con ogni genere di precedenti spaventosi.” Di vero c’è che quanto a cambiamenti climatici l’Afghanistan è considerato il sesto Paese più vulnerabile al mondo, nel quale il marzo scorso morirono per inondazioni improvvise trecento persone e, contemporaneamente, 25 delle 34 province soffrivano di mancanza d’acqua. Conseguenze soltanto in parte causate da decenni di conflitti interni che hanno causato povertà e impossibilità di prendere provvedimenti su questo fronte.

L’Italia è presente con il presidente del Consiglio Giorgia Meloni, il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin e l’assessore all’Ambiente e Clima della regione Lombardia Giorgio Maione. Il presidente Meloni, nella mattinata di oggi (13 novembre), ha parlato ai delegati con queste parole: “Questo Summit (…) è chiamato a dare ulteriore impulso allo sforzo di limitare l'aumento della temperatura globale entro 1,5 gradi. A Dubai abbiamo fissato obiettivi ambiziosi, triplicare la capacità mondiale di generare energia rinnovabile e raddoppiare il tasso globale di miglioramenti dell'efficienza energetica entro il 2030”. Il primo ministro ha anche ricordato che per raggiungere tali obiettivi è necessaria la cooperazione di tutti, a partire dai maggiori emettitori di gas serra, e un adeguato supporto finanziario. “Durante questa conferenza” ha proseguito Meloni, “lavoreremo per adottare il nuovo obiettivo di finanza per il clima. Per raggiungere un compromesso valido è necessario condividere le responsabilità, superare le divisioni tra nazioni sviluppate ed economie emergenti e in via di sviluppo”. Un punto fondamentale del discorso italiano è stato quello di ricordare che “la decarbonizzazione deve tenere conto della sostenibilità dei nostri sistemi produttivi e sociali. Dobbiamo proteggere la natura con l'uomo al centro. Un approccio troppo ideologico e non pragmatico su questo tema rischia di farci deviare dalla strada del successo. La neutralità tecnologica è l'approccio giusto, poiché attualmente non esiste un'unica alternativa all'approvvigionamento di combustibili fossili. Dobbiamo avere una prospettiva globale realistica. La popolazione mondiale raggiungerà gli 8,5 miliardi entro il 2030 e il PIL globale raddoppierà nel prossimo decennio. Ciò aumenterà il consumo di energia, considerando anche la crescente domanda di sviluppo dell'Intelligenza Artificiale”.

Risulta attuale il richiamo alla politica ideologica della Ue sulla transizione del settore automotive, come fosse il solo responsabile delle emissioni climalteranti, fatto proprio mentre a Bruxelles Stephane Sejourné, ex ministro degli Esteri francese e prossimo vicepresidente della Commissione europea con delega alla “prosperità e strategia industriale”, ha proposto un piano per favorire la vendita di auto a batteria introducendo incentivi ma soltanto per quelle prodotte nell’Unione. Meloni a Baku ha ricordato: “Abbiamo bisogno di un mix energetico equilibrato per migliorare il processo di transizione utilizzando tutte le tecnologie disponibili. Non solo rinnovabili, ma anche gas, biocarburanti, idrogeno, cattura della CO2 e, in futuro, fusione nucleare che potrebbe produrre energia pulita, sicura e senza limiti. L'Italia è in prima linea sulla fusione nucleare.” La posizione italiana risulta quindi chiara, soprattutto con l’annuncio fatto a proposito del prossimo G7, del quale il nostro Paese avrà la presidenza: “Abbiamo organizzato il primo incontro del World Fusion Energy Group, sponsorizzato dall'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica. Intendiamo rilanciare questa tecnologia che potrebbe cambiare le carte in tavola perché può trasformare l'energia da arma geopolitica in una risorsa ampiamente accessibile”.