Valencia devastata dall’alluvione e dagli avvoltoi verdi
La rabbia della popolazione spagnola che ha assalito i reali e il primo ministro in visita a Valencia, quattro giorni dopo l’alluvione che ha ucciso più di 200 persone (con oltre 1900 ancora disperse mentre scriviamo), è giustificata. Non solo l’elevato numero di vite umane si sarebbe potuto evitato, qualora le autorità avessero dato l’allarme in tempo, ma l’alluvione stessa avrebbe potuto essere impedita, se le autorità locali e nazionali avessero investito nelle tradizionali infrastrutture come dighe, argini e vasche di laminazione.
Negli ultimi decenni la Spagna ha investito centinaia di miliardi di euro in politiche climatiche che hanno indebolito le misure di prevenzione esistenti. Un miliardo è stato speso per raggiungere gli obiettivi del Protocollo di Kyoto del 1997; 50 miliardi per raggiungere l’obiettivo 20-20-20 (20% in meno di CO2, 20% di rinnovabili e 20% in più di efficienza) fissato dall’UE; e 240 miliardi per raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi del 2015.
Soldi buttati. Il clima mondiale non è come un frigorifero gigante, dove basta accendere e spegnere il termostato (copyright F. Battaglia) e le auto elettriche e i pannelli solari non influiscono sul clima globale. Peggio ancora: nella provincia di Valencia, come in altre regioni, quel denaro è stato speso in progetti di “rinaturalizzazione” che hanno indebolito le infrastrutture costruite dopo l’alluvione del 1957. Quell’alluvione, chiamata “Gran Riada De Valencia”, causò 81 morti (ma secondo alcuni le vittime furono molte di più). Dopo quell’evento, le autorità decisero di deviare il fiume Turia, in modo che non costituisse più una minaccia per la città di Valencia. Fu costruito un nuovo letto del fiume a sud della città, che è stata protetta dalle inondazioni, fino a quando…
…fino a quando l’Unione Europea non ha emanato la Direttiva quadro sulle acque del 2000, volta a ripristinare condizioni favorevoli al regno animale nelle zone umide.
Un rapporto del 2019 di Wetlands International e del Centro italiano per la riqualificazione fluviale (CIRF) sullo stato di attuazione della direttiva afferma che l’intervento sul fiume Turia ne ha aumentato con successo il “flusso ecologico”.
“Il provvedimento ha stabilito un flusso ecologico minimo di 1,20 metri cubi [per unità di tempo]” che “ha avuto conseguenze positive su macrofite, macroinvertebrati bentonici e pesci. Le popolazioni di trota (Salmo trutta) si stanno riprendendo grazie alle nuove aree create con ghiaia sciolta, di fondamentale importanza per la deposizione delle uova. L’abbondanza e la diversità dei macroinvertebrati bentonici sono migliorate grazie alla diversificazione degli habitat all’interno del canale” (https://europe.wetlands.org/publication/successes-eu-water-framework-directive-implementation/).
Quindi, i macroinvertebrati sono al sicuro, ma le vite umane no.
La follia dell’UE non si è fermata qui. Nel 2022, la Direttiva Quadro sulle Acque è stata aggiornata con la Legge sul Ripristino della Natura, il cui articolo 7 invita alla rimozione delle dighe quale mezzo per “contribuire alla naturale connettività longitudinale e laterale dei fiumi” e per “contribuire a ripristinare le aree fluviali e le pianure alluvionali”.
Un gruppo chiamato Dam Removal Europe ha riferito che nel 2023 sono state rimosse 487 barriere in 15 Paesi europei, con un aumento del 50% rispetto ai dati dell’anno precedente. Queste iniziative hanno permesso di “ricollegare” più di 4.300 km di fiume.
Un’indagine seria dovrà stabilire quanto queste misure di “rinaturalizzazione” abbiano contribuito a creare le condizioni per l’alluvione del 30 ottobre a Valencia.