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E’ morta Rina Biz, fondatrice delle Acli in Veneto

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E’ morta Rina Biz, abitava a Orsago. Era ricoverata in una struttura di Ponte di Piave. Aveva compiuto 90 anni lo scorso marzo.

Caterina detta Rina, al secolo Biz, era una di quelle donne che il Novecento l’hanno attraversato interamente di corsa: nata nel marzo 1934, da bambina aveva conosciuto l’ultimo scorcio del fascismo e tutta la guerra, da adolescente ha fatto la filandaia e la tessitrice, da neanche maggiorenne ha iniziato a occuparsi degli altri. E non ha smesso più.

«Ai miei tempi – diceva Rina Biz – il Primo Maggio era un fiato di gioia, era il giorno in cui poter gridare: ho un lavoro, dunque esisto, ho un ruolo nella comunità. Era una grande giornata di orgoglio, di festa, di conquista, di progresso. Ricordo che a Conegliano avevamo un recipiente a forma di incudine che usavamo per raccogliere le offerte, destinate a chi il lavoro l’aveva perso per un infortunio o una malattia. Ecco, questo per me è il Primo Maggio: orgoglio, dignità e solidarietà».

Rina Biz era considerata una delle protagoniste dello sviluppo cooperativistico del Veneto, con riferimento all’affermazione delle donne nel mondo del lavoro. E’ stata tra le fondatrici nel Veneto delle Acli, l’organizzazione cattolica che si occupa di lavoro, è stata amica del futuro Papa Albino Luciani e di Tina Anselmi.

Dopo vent’anni nella sanità pubblica, dove a Treviso aveva organizzato il primo centro unico prenotazioni, aveva intrapreso la strada del Terzo settore, quando ancora non si chiamava così, dando vita a una delle prime e più importanti esperienze cooperativistiche, Insieme si può.

«Le Acli mi formarono per leggere i cambiamenti della società», raccontava in un’intervista, «con la cooperativa abbiamo cercato di intercettare i bisogni nascenti della società, con spirito d’iniziativa e capacità di visione. Abbiamo aiutato migliaia di donne a trovare un’occupazione, liberandole da una condizioni di inferiorità, abbiamo costruito scuole per l’infanzia e residenze per gli anziani, ambulatori per la salute mentale, comunità per donne vittime di violenza e case per disabili. Molte di queste iniziative sono radicate sul territorio e in qualche modo ne sono orgogliosa, ci ho messo un po’ del mio, anche se non ho mai avuto un carattere facile. Penso di aver usato i talenti a disposizione per la società».

I tempi descritti erano quelli del dopoguerra e i luoghi quelli della Sinistra Piave, a cavallo tra Veneto e Friuli, quelli del passaggio dall’economia agricola al tessuto industriale.

«C’era un prete straordinario», ricordava, «si chiamava don Ilario Pellizzato, veneziano di Scorzè: era il delegato diocesano delle Acli e doveva costruire la rete di questi circoli sul territorio della diocesi di Vittorio Veneto. Aveva una Seicento color caffelatte, passava a prendere i ragazzi a casa per portarli alle riunioni dove si parlava di cose mai sentite: il rapporto tra il lavoratore e il datore di lavoro deve avere a cuore la dignità e la crescita della persona. Doveva essere uno scambio, ma equilibrato. Mi prese in simpatia e lo affiancai in questo proselitismo.

«In pochi mesi» proseguiva il suo racconto della nascita delle Acli «ogni paese aveva un circolo Acli. E così si diffuse un pensiero, spesso antagonista rispetto al comune sentire di quegli anni: ci chiamavano “Pesci rossi in acqua santa”, mia madre ne soffrì. Ma la strada era tracciata: furono anni di grandi impegno e di grandi cambiamento, ma abbiamo fatto la nostra parte».

Il Primo Maggio, dunque, diceva: «È la festa dei lavoratori, non del lavoro. Chi produce il lavoro se non i lavoratori? E sono lavoratori tutti coloro che si applicano nella costruzione di valori, di servizi, di idee. Oggi c’è un grandissimo bisogno di idee, di dialogo, di formazione: non bisogna appiattirsi, bisogna essere curiosi e aperti ai cambiamenti, anche quelli introdotti dalla tecnologia. Ma è necessario che il lavoro sia riconosciuto, sia riconosciuto. Perché il lavoro conferisce dignità, è un pilastro sociale. Fa di un uomo e di una donna parte della comunità. E la comunità funziona se tutti rispettiamo questi concetti».

Ai giovani diceva: «Non abbiate paura del futuro, affrontatelo con determinazione, giorno dopo giorno. Ma usate la vostra intelligenza per cambiarlo, se non vi piace».