Una «grande piccola» evasione fiscale
Tempo fa mi capitò di leggere su la Repubblica la storia di una pensionata al minimo. Era una donna vicina agli ottant’anni, che non riusciva ad arrivare a fine mese. Il racconto si snodava tra bollette non pagate e una spesa alimentare a livello di sussistenza, integrata spesso facendo la fila alla mensa dei poveri. Com’è possibile che una donna anziana, che dichiarava di aver lavorato tutta la vita, fosse costretta a fare i salti mortali per campare? Me lo sono chiesto una volta arrivato in fondo all’articolo. La risposta stava in un paio di righe, buttate lì, nella ricostruzione delle fatiche quotidiane. Il marito prima di morire aveva un’officina meccanica, «e sa», spiegava la signora «a quei tempi si pagavano contributi limitati, dunque la pensione di reversibilità è poca cosa». Lei invece aveva fatto la colf, «e sa», confidava alla cronista del quotidiano romano, «allora non si pagavano i contributi». In pratica, i coniugi avevano lavorato per anni evadendo fisco e contributi e oggi la signora, giunta alla soglia degli ottant’anni, era una pensionata al minimo, che non riusciva a saldare il canone d’affitto e doveva decidere se pagare la bolletta o il supermercato, perché entrambe le cose con l’assegno che le versava l’Inps non riusciva a farle. Un assegno, come si usa dire, a carico della fiscalità generale, ossia sostenuto dai contribuenti che le tasse e i contributi li versano.
La storia della pensionata scovata da la Repubblica per attaccare il governo che affama i pensionati mi è tornata in mente l’altra sera, quando nella trasmissione di Bianca Berlinguer ho visto raccontata una storia analoga. Una signora avanti con gli anni che dopo una vita passata a cucire tappezzeria per poltrone e divani si ritrova con un assegno al minimo, di appena 600 euro. «Sapete» ha raccontato davanti alle telecamere «a quei tempi si pagavano pochi contributi». Ecco, la storia di persone fragili e in difficoltà colpisce. E umanamente non si può che solidarizzare con loro: vederli in fila fuori dalla sede di «Pane quotidiano», una delle associazioni che a Milano distribuisce pasti e generi alimentari a chi non ce la fa, stringe il cuore. Tuttavia, non si può nemmeno ignorare che se la pensione percepita è al minimo è perché non si sono versati i contributi e dunque nemmeno le tasse. È facile lamentarsi con la grande evasione, che ricade sui contribuenti onesti, i quali sono chiamati a pagare di più a causa di chi non ha pagato niente. Però in Italia, i 4,5 milioni di pensionati al minimo, dunque a carico della fiscalità generale, ci costringono a guardare in faccia una realtà che riguarda anche la piccola evasione.
Quasi un quarto degli assegni pagati dall’Inps in teoria non sono dovuti, perché non sono ottenuti dopo aver maturato un numero sufficiente di versamenti previdenziali. Lo Stato se ne fa carico, ma in quanto è chiamato ad aiutare le persone in difficoltà. Infatti quelle sono pensioni sociali, riconosciute a titolo assistenziale. Per chi le riceve, che si chiamino in un modo o in un altro cambia poco, perché i soldi sono sempre scarsi. Ma per il bilancio pubblico cambia molto, in quanto se tutti versassero i contributi, l’Inps non rischierebbe la bancarotta e i contribuenti che le tasse le pagano non sarebbero chiamati a pagarne sempre di più.
Ho letto di recente che 300 mila persone, con la loro pensione da cinquemila euro lordi (all’incirca tremila netti), costano all’ente previdenziale come 4,8 milioni di pensionati al minimo. Però il Corriere della Sera, che ha pubblicato la notizia, si è ben guardato dallo scrivere che i primi la pensione l’hanno pagata e i secondi no. Giorni dopo però, il quotidiano di via Solferino ha pubblicato un articolo per spiegare che chi guadagna dai 55 mila euro lordi l’anno, all’incirca tremila euro netti al mese, paga per tutti, perché questi contribuenti si fanno carico del 42 per cento del gettito Irpef e in cambio non ricevono quasi nulla. In pratica, c’è un 15 per cento di italiani che sostiene il welfare, mentre il resto vive a sbafo. A sinistra sostengono che per rimettere in ordine le cose sarebbe sufficiente tassare di più i ricconi, ma la patrimoniale o anche un prelievo sui redditi più alti, finirebbe sempre in tasca a quel ceto medio che oggi sorregge l’assistenza per tutti e, pur senza ricevere indietro quasi niente, consente che ogni cittadino possa beneficiare di sanità, istruzione e sicurezza.
So che tutto ciò può urtare la sensibilità di alcuni, perché le immagini di una donna che a ottant’anni non può fare la spesa al supermercato sono dolorose e imbarazzano chi sta comodo nel proprio salotto di casa. Ma se non invertiamo la tendenza, ovvero se non prosciughiamo la «grande piccola» evasione fiscale, continuando a lamentarci per le pensioni basse non ne usciremo.