Bari, morto richiedente asilo ospite del Cara: aveva ingoiato 11 pile per protesta. Rivolta dei migranti per il ritardo dei soccorsi
Un 33enne originario della Guinea, ospite del Cara di Bari (Centro di accoglienza per richiedenti asilo) è morto martedì 5 novembre in ospedale dopo aver ingerito 11 pile come gesto di autolesionismo. L’uomo era ospite del Cara (Centro di accoglienza per richiedenti asilo) a Bari, dove si trovava ospite. Secondo quanto riportato da alcuni testimoni, l’uomo è stato portato in ospedale “dopo tre giorni che lamentava dolori alla pancia, ma gli veniva dato solo del paracetamolo”. La notizia ha fatto scoppiare una rivolta tra i migranti del centro, alcuni dei quali hanno occupato la struttura, allontanato gli operatori e chiuso i cancelli per bloccare gli ingressi. Sul posto sono intervenute le forze dell’ordine.
La mattina successiva, numerosi ospiti del Cara hanno sfilato in protesta contro la morte del compagno e per denunciare i “maltrattamenti” e le “condizioni di vita disumane” all’interno della struttura, dove si dorme “stipati nei container”. Una delegazione di migranti è stata ricevuta dal prefetto di Bari Francesco Russo: “Si tratta del terzo decesso nel 2024 tra gli ospiti del Centro. Per il ragazzo che è morto hanno chiamato l’ambulanza solo dopo che la sua compagna si è messa a piangere”, ha spiegato uno di loro. La direttrice del Cara, Antonella Sabino, spiega invece che il migrante si era rivolto al presidio sanitario interno alla struttura il 2 e il 3 novembre, ricevendo le cure per i problemi intestinali. Il 4 novembre, poi, è stato chiamato il 118 che ha valutato di portarlo in ospedale, dove ha avuto due arresti cardiaci ed è morto. La Tac ha rilevato la presenza nel suo stomaco di corpi estranei non riconducibili al cibo. Per far luce sulle cause del decesso è stata disposta l’autopsia.
“Il modo in cui siamo costretti a vivere è sgradevole”, hanno raccontato i migranti al prefetto, secondo quanto riporta il Manifesto. “Dentro un container ci sono dieci persone, quando ce ne dovrebbero essere quattro. Molte di loro dovrebbero essere in campagna a lavorare, nel circondario tra Bitonto, Palo e Bitritto, dalle cinque e mezza del mattino. Dal Cara si può uscire solo dalle sette. Cosa dovrebbero fare? Devono scavalcare muri di sei metri con filo spinato? C’è gente che si è fratturata le braccia per farlo“. E ancora: “Se si torna dal lavoro dopo le 21 non puoi più entrare e dormi fuori. La prigione si chiude alle 20:30. Pensate sia un piacere scavalcare? Uscire così d’inverno, sotto la pioggia? Il prefetto e la politica sanno tutto questo, li tengono in prigione, in una zona militare protetta. Non possono entrare e uscire liberamente, come banditi e mafiosi. Questa è la prima cosa che bisogna cambiare, è un bunker”. Gli ospiti del Cara hanno denunciato anche l’inadeguatezza delle cure mediche: “Pensate che le donne non dicono più di essere incinte, perché molte hanno perso il bimbo e pensano ci sia qualcosa dietro”. Il prefetto e il centro hanno promesso un dialogo per il miglioramento delle condizioni di vita.
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