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Ноябрь
2024

Shakespeare in giallo, con molta ironia: Pennacchi all’esordio nella fiction letteraria

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Il tormentone: “Ma come casso parla”, è affettuosamente canzonatorio, ma disegna bene lo Shakespeare, confidenzialmente Will, che Andrea Pennacchi ha voluto come protagonista del suo esordio nella fiction letteraria.

“Se la rosa non avesse il suo nome” (Marsilio, pp 384, 16 euro), da martedì 5 novembre in libreria, è un giallo storico ambientato nella Padova del Cinquecento, che ha per protagonisti personaggi come Christopher Marlowe, Galileo, ovviamente Shakespeare, ma anche Montecchi e Capuleti, perché rilegge a modo suo “Giulietta e Romeo”.

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Immaginare Shakespeare e Marlowe a Padova non è un azzardo storico?

«Per Shakespeare c’è qualche ipotesi ma non ci sono prove: ci sono solo i famosi anni perduti in cui nessuno sa dove sia andato. Per Marlowe c’è qualche elemento in più, nel senso che sicuramente lavorava come spia per Walsingham che aveva studiato a Padova e del resto la stessa la Regina Elisabetta, pare, voleva essere curata solo da laureati dell’Università di Padova. Diciamo che quindi la loro presenza è una possibilità e io ho scritto a partire dal possibile».

E Capuleti e Montecchi a Padova?

«Lo so, i veronesi non me lo perdoneranno mai. Certo collocarli a Padova è un azzardo, ma se vogliamo anche per Verona non ci sono prove storiche. La scelta padovana l’ho fatta seguendo il consiglio dei veri scrittori, che dicono che è meglio parlare di luoghi che si conoscono bene. Anche Antonio Pennacchi, con cui eravamo diventati amici per via che tutti pensavano fossimo parenti, mi diceva che lui Latina e la bonifica li aveva messi anche in un libro di fantascienza. A parte questo avevo bisogno per la mia storia dell’Università perché è un libro sulla potenza dei libri e avevo bisogno di ambientalo nel cuore intellettuale della Repubblica di Venezia».

Non era appassionato di fantasy, come mai ha scelto il giallo?

«Sono un lettore di fantasy e infatti nel libro ci sono anche elementi del mistery. Però negli ultimi anni mi è capitato di leggere anche per lavoro gialli come quelli di Gimenz-Bartlett o di Manzini e mi sono appassionato, anche perché mi hanno anche insegnato che inseguire un colpevole, cercare di risistemare un delitto, è un ottimo modo per esplorare una società».

Si è divertito a parodiare la lingua di Shakespeare e contemporaneamente ha giocato col dialetto di Ruzante.

«Adoro il riso come forma di avvicinamento a qualsiasi cosa, purché sia appunto una forma di avvicinamento e non sia fine a se stesso. Ho immaginato che John Florio avesse insegnato a Shakespeare l’italiano e ho giocato con la sue costruzioni linguistiche, con i suoi ossimori che però richiamano anche la potenza magica delle parole. Quanto al dialetto sono partito da Ruzante che amo molto ma ho dovuto addolcirlo altrimenti sarebbe risultato incomprensibile. Però alcune sonorità, briciole di parole, le ho lasciate perché sono troppo belle per rinunciarci».

Shakespeare ha ambientato opere a Venezia, Padova, Verona, lei ce l’ha portato fisicamente però.

«Il libro non esisterebbe senza questa idea di Shakespeare che viene in Veneto. Ma non è un Veneto della nostalgia identitaria, non è il reale Veneto della Serenissima, non è neppure il luogo mitico ed esotico che immaginava la cultura inglese del Cinquecento, un luogo in cui poteva succedere di tutto. È invece il Veneto come palcoscenico».

Fa incontrare Shakespeare e Galileo.

«Sono per certi versi anime affini. Credono tutti e due che le cose non siano mai come sembrano e quindi vanno a indagare uno nell’umano, l’altro nel cosmo, nella fisica. Uno a quel che ci dicono era più violento di temperamento, l’altro – secondo testimonianza unanime – molto più tranquillo ma tutti e due amavano frequentare le osterie. Quale luogo migliore, allora, dove farli incontrare? Ma anche Sarpi è un personaggio troppo bello, e spesso trascurato, per non usarlo. E lo stesso Saviolo, il maestro di scherma, è un personaggio padovano reale, amico di Florio, che poi è finito a insegnare la scherma italiana ai nobili inglesi».

Quindi molte basi storiche sono reali.

«Ho usato molta fantasia ma mi piaceva l’idea di ancorarmi a una struttura storica solida. Quindi ho studiato ma ho anche chiesto aiuto a qualche amico professore che gentilmente mi ha aiutato, ma gli eventuali strafalcioni sono tutti responsabilità mia».

È l’inizio di una serie?

«Vediamo come va questo libro. Mi sembra di aver creato un mondo che può sostenere anche altre storie e ho già molte idee ma è presto per dirlo. Dipende dal giudizio dei lettori».

Come è stato scrivere un romanzo vero e proprio, sia pur con un forte dose di teatro?

«Difficile. I libri precedenti erano quasi tutti adattamenti degli spettacoli. Quello su Shakespeare no, ma era un mix tra saggio, ricordo personale, utilizzo di altri testi. Questo è il primo romanzo e tenere insieme tutti gli elementi all’inizio mi ha creato molti problemi. Per fortuna ho sempre letto molto e rubando agli scrittori veri sono riuscito a costruirmi un po’ di ferri del mestiere».

Andrea Pennacchi sarà a Villorba il 20 novembre alla Libreria Lovat alle 18.30 e a Padova il 28 novembre al Teatro Verdi alle 18 con Massimo Carlotto.